La sentenza numero 21125 della Corte Suprema di Cassazione, Sezione Penale, ha portato alla luce un caso di estradizione verso la Cina, annullandola e mettendo in evidenza gravi preoccupazioni riguardanti i diritti umani e il rischio di trattamenti disumani e degradanti all'interno del sistema penitenziario cinese. Questa sentenza, insieme ad altre simili rivolte a paesi stranieri dove i diritti dei detenuti sono trascurati, mette in discussione l'approccio tradizionale delle destre, incluso il movimento Cinque Stelle, che proponeva di far scontare la pena degli stranieri nei loro paesi d'origine per risolvere il sovraffollamento. Senza fare i conti, però, con l’importanza del rispetto dei diritti umani.

Il caso coinvolge la cittadina cinese Z. C., oggetto di una richiesta di estradizione avanzata dall’autorità giudiziaria della Cina, per il reato di “assorbimento illecito di depositi pubblici”, secondo la legge penale cinese. Sebbene la Corte di appello di Ancona avesse originariamente accettato la richiesta di estradizione, la Cassazione ha ribaltato la decisione. I motivi dell'annullamento dell'estradizione sono stati evidenziati in quattro punti principali, sottolineando la violazione di diverse disposizioni della legge italiana e delle norme internazionali, nonché il rischio concreto di trattamenti inumani e degradanti nel sistema carcerario cinese.

Il primo motivo di ricorso riguardava la violazione dell'art. 2 della legge italiana sull'estradizione con la Repubblica popolare cinese, che richiede la presenza del principio della doppia incriminazione e la punizione con la reclusione. Tuttavia, il reato contestato a Z. C. sembrava corrispondere a una contravvenzione, non rispettando quindi i requisiti per l'estradizione. Il secondo motivo si basava sulla mancanza di determinazione della pena massima edittale, contraddicendo i principi di predeterminazione della sanzione. Inoltre, le fonti legali cinesi non fornivano rassicurazioni circa la pena applicabile nel caso di truffa o di appropriazione indebita, aumentando il rischio di arbitrarie e ingiuste condanne.

Il terzo motivo sottolineava il rischio di sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti, citando fonti internazionali e la recente sentenza della Corte europea dei diritti umani sul caso Liu c. Polonia. Quest'ultima aveva evidenziato la persistente sottoposizione dei detenuti a trattamenti disumani, inclusi mezzi di tortura, senza garanzie di protezione. Infine, il quarto motivo evidenziava il rischio derivante dalle opinioni politiche pubblicamente espresse da Z. C., soprattutto riguardanti le repressioni in atto a Hong Kong. Questo sollevava preoccupazioni sulla possibilità di un trattamento deteriore in Cina.

Entrando nel dettaglio, le argomentazioni della ricorrente cinese si fondano anche sulle condizioni di detenzione riportate dal fratello, documentate in una nota acquisita nel processo, la quale denuncia una detenzione illegalmente ordinata e mirata a costringere la sorella a tornare in Cina. Tuttavia, gli elementi più significativi derivano dalle fonti internazionali e dalla recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo nel caso Liu c. Polonia. La Cassazione ritiene che gli argomenti esposti in questa sentenza siano pienamente applicabili anche al caso in esame, considerata la loro portata generale e non limitata alla situazione specifica trattata dalla Corte. È importante notare che il caso in questione riguardava

un cittadino cinese accusato di reati comuni e non soggetto a rischi specifici di discriminazione basati su motivi personali come politica, etnia o religione. Di conseguenza, le carenze evidenziate dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo riguardo al rispetto dei diritti umani hanno un'importanza sistemica e si applicano anche ad altri individui soggetti a estradizione in Cina.

Sintetizzando il contenuto della sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, emergono alcuni punti chiave: il Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura ha espresso preoccupazione per l'uso diffuso della tortura e dei maltrattamenti in Cina, nonostante gli sforzi dello Stato per affrontare il problema. Nonostante siano state apportate alcune modifiche normative, persistono gravi accuse di violazioni dei diritti umani nel sistema giudiziario penale cinese, con condizioni carcerarie considerate degradanti e pericolose per la vita dei detenuti. Le fonti internazionali, tra cui i rapporti del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, Amnesty International e Human Rights Watch, confermano la continua violazione dei diritti umani in Cina, con un tasso di condanne del 98% spesso basato su confessioni estorte con la tortura e condizioni carcerarie inadeguate. Inoltre, le informazioni riguardanti il sovraffollamento, l'assistenza medica e la scarsa igiene non sono accessibili, in quanto considerate segrete dalle autorità cinesi. Di conseguenza, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha concluso che, considerando le prove presentate dalle parti e dalle organizzazioni internazionali e nazionali, la tortura e altri maltrattamenti sono diffusi nelle strutture di detenzione cinesi, creando una situazione generale di violenza. Oltre alla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, vengono citate anche le risoluzioni del Parlamento europeo che evidenziano il persistente rischio di trattamenti inumani o degradanti nei confronti dei detenuti in Cina. Ancora più allarmanti risultano le conclusioni espresse nella Risoluzione del Parlamento europeo datata 5 maggio 2022, che affronta la questione dell’espianto degli organi. La gravità della situazione è tale che il Parlamento europeo ha espresso profonda preoccupazione riguardo alle segnalazioni di espianto coatto di organi, che avviene in modo continuo, sistematico e disumano, con il tacito sostegno dello Stato, nei confronti dei prigionieri nella Repubblica popolare cinese. Nella stessa Risoluzione, il Parlamento ha richiesto alle autorità cinesi di rispondere tempestivamente alle accuse di espianto coatto di organi e di permettere un monitoraggio indipendente da parte dei meccanismi internazionali per i diritti umani.

Alla luce di queste considerazioni, la Cassazione ritiene necessario annullare la sentenza impugnata senza rinvio. Si sottolinea che la Corte di appello, pur avendo precedentemente richiesto ulteriori informazioni e ottenuto solamente rassicurazioni generiche, non potrebbe procedere a ulteriori verifiche nel merito che possano portare all'accoglimento della richiesta di estradizione. Con l'annullamento della sentenza che aveva ordinato l'estradizione, si determina automaticamente la revoca della misura cautelare in corso. La donna è libera, evitando così l’inevitabile tortura che avrebbe subito in Cina.