A un certo punto della conferenza stampa, con la voce pacata, Andrea Orlando cita «i soggetti economici verso i quali è stata specificamente pensata questa legge sull’equo compenso», ovvero «banche e assicurazioni». Il ministro della Giustizia neppure si vanta troppo di questo particolare aspetto, e invece proprio lì è racchiuso «l’importante valore politico» del ddl: la sfida ai poteri forti, certo non un’opzione di routine. E il fatto che il governo la lanci proprio attraverso un provvedimento che tutela gli avvocati restituisce dignità, centralità e peso costituzionale del ruolo alla professione forense.

A pochi minuti dalla conclusione del Consiglio dei ministri che ha visto il varo dell’equo compenso, il guardasigilli raggiunge via Arenula per un incontro con i giornalisti a cui ha voluto prendesse parte anche il presidente del Consiglio nazionale forense Andrea Mascherin.

Insieme espongono i contenuti del testo in 5 articoli che, se approvato in Parlamento, consentirà di rendere nulle le convenzioni stipulate con gli avvocati da banche, compagnie assicurative e grandi aziende, qualificate come tali in base a parametri Ue. Una “nullità di protezione” che ovviamente non travolge l’intero rapporto ma solo la parte in cui la prestazione legale viene remunerata con un “compenso non equo” o vincolata all’imposizione di clausole vessatorie.

GOVERNO UNITO SUL VIA LIBERA AL DDL

Sul ddl il governo è compatto. Lo dimostra l’andamento del Consiglio dei ministri di ieri, in cui la misura in favore degli avvocati era la sola legge da approvare. Oltre a Orlando, nella riunione di Palazzo Chigi sono intervenuti anche rappresentanti di dicasteri non direttamente chiamati in causa dalla materia, ma consapevoli del «valore politico» di un provvedimento simile. Nella conferenza stampa che segue di pochissimo l’ok di Palazzo Chigi sia Orlando che Mascherin enfatizzano proprio quel valore politico.

E se il guardasigilli parla di «spartiacque nella politica delle professioni», è il presidente del Cnf a spingere con parole forti sull’equo compenso come svolta strategica complessiva: «Premesso che l’avvocatura è una categoria che non ha connotazioni partitiche», dice Mascherin, «da non pochi anni l’Italia è stata consegnata non al libero mercato ma al mercato libero di ricattare il mondo del lavoro. Un ricatto nei confronti dell’intero ceto medio, finalizzato a svuotare il principio della dignità del lavoro». Non si tratta di un mero intervento di settore, è il messaggio. Che il presidente dell’avvocatura istituzionale rilancia poco dopo in una nota, in cui usa a propria volta quell’espressione, «spartiacque», da riferirsi alla «cultura, imperante in questi anni, di un mercato senza regole, basato sulla concorrenza al ribasso fra l’altro, delle libere professioni e del ceto medio, così da poter togliere dignità al lavoratore autonomo e renderlo economicamente ricattabile» .

È un «punto di svolta anche sul tema della competitività», l’equo compenso per le prestazioni legali, perché, spiega Orlando, «il ruolo dell’avvocato non può essere sottoposto solo alle dinamiche del mercato e perché quest’ultimo non può essere davvero efficiente se è senza regole». Il ministro nota anche come all’interno dell’esecutivo ci sia stata discussione sulla possibilità di estendere i principi del ddl ai rapporti tra avvocati e pubblica amministrazione: «Ipotesi messa un attimo tra parentesi perché si sarebbe corso il rischio di aumentare i costi per la fiscalità generale. Ma alcuni principi», aggiunge il guardasigilli, «credo possano e debbano essere estesi anche anche alle amministrazioni pubbliche». Fra le varie clausole che il ddl bolla come vessatorie, e che Orlando enuncia una per una in conferenza stampa, andrebbe ovunque bandita, dice, innanzitutto quella relativa al «carattere gratuito di alcune prestazioni. Una prassi che non solo mortifica il professionista ma lo deresponsabilizza: e alla responsabilità deve corrispondere sempre un compenso adeguato».

IL MINISTRO RICORDA IL RUOLO DEL CNF

Una legge simile non poteva che arrivare da una «interlocuzione costante con il Cnf», come osserva il guardasigilli. Il presidente del Cnf ribatte che l’equo compenso non poteva che arrivare grazie a chi come Orlando «ha una ben mancata riserva rispetto a questo tipo di concezione del mercato». La battaglia è stata condotta «con il Consiglio nazionale forense e con tutte le rappresentenze dell’avvocatura», che ora vigilieranno affinché in Parlamento si evitino «attività dispersive» e il testo venga portato avanti. Ma lo stesso Mascherin è confortato dall’attenzione che, con il guardasigilli, hanno avuto per il ddl anche la sottosegretaria alla Presidenza Maria Elena Boschi, il sottosegretario alla Giustizia Gennaro Migliore e lo stesso premier Paolo Gentiloni. Dopo che Matteo Renzi, in un incontrro con lo stesso presidente del Cnf, aveva dato il proprio sostegno.

Si tratta di una misura «molto attesa dalla professione forense e in particolare dai giovani», secondo il ministro della Giustizia, «sottoposti a più di tutti a una forma di vero e proprio caporalato intellettuale». La normativa d’altra parte «può riguardare anche altre professioni: nel caso dell’avvocatura c’era alle spalle un lavoro arrivato a maturazione», ma appunto Orlando non chiude ad alcuna ipotesi. Il presidente della commissione Lavoro del Senato Maurizio Sacconi chiede che il ddl sia incardinato lì in modo da essere accorpato con un suo testo concepito appunto per estendere l’equo compenso a diverse categorie. Ma nella commissione Giustizia dell’altro ramo del Palamento la strada è aperta da due articolati a firma del deputato dem Giuseppe Berretta ed è probabile si parta appunto da Montecitorio.