Leonardo Vitale, detenuto al 41 bis per associazione mafiosa, ha proposto ricorso in Cassazione contro il diniego della remissione del debito di circa 900.000 euro. Parliamo delle cartelle esattoriali accumulate con i processi. Con la sentenza numero 18166, la Cassazione annulla l’ordinanza e ordina al magistrato di sorveglianza di Viterbo di rivalutare la decisione fornendo una motivazione adeguata sulla reale capacità economica dell’ex boss di Cosa Nostra.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso di Leonardo Vitale contro il provvedimento del giudice di sorveglianza che aveva respinto la sua richiesta di remissione del debito. Nella sua ordinanza il magistrato di Sorveglianza aveva motivato il diniego basandosi sul fatto che Cosa Nostra garantisce ai suoi associati detenuti uno stipendio e i proventi delle attività illecite. Tuttavia, la Cassazione ha stabilito che questa motivazione è generica e indiziaria e non tiene conto delle concrete condizioni economiche di Vitale. Infatti, come ha osservato il ricorrente tramite l’avvocata Francesca Vianello Accorretti, il magistrato di Sorveglianza aveva acquisito informative della Guardia di Finanza rispetto alle condizioni economiche del detenuto, dalle quali era emerso che la sua unica fonte di reddito era rappresentata dalla retribuzione per il lavoro svolto in carcere. Eppure, ciò non è stato minimamente preso in considerazione.

Secondo la Suprema Corte, il magistrato di Sorveglianza avrebbe dovuto basarsi su elementi certi. Non ha indicato alcun elemento concreto e specifico a conferma che il ricorrente avesse redditi sufficienti per pagare il debito di circa 900.000 euro senza causare un significativo squilibrio nel bilancio familiare. La Cassazione premette: «È vero che, per accertare i redditi derivanti da attività illecite nel contesto del gratuito patrocinio, è legittimo usare gli ordinari mezzi di prova, comprese le presunzioni previste dall'art. 2729 del codice civile. Queste includono il tenore di vita dell'interessato e dei suoi familiari conviventi, oltre a qualsiasi altro fatto che indichi la percezione di reddito, lecito o illecito, per cui è intervenuta una condanna». Tuttavia, nel caso in esame, «le scarse argomentazioni del giudice non considerano il divieto generale di applicazione analogica in malam partem di criteri validi solo per il patrocinio per non abbienti».

In altre parole, la Suprema Corte sta dicendo che il magistrato di Sorveglianza ha utilizzato criteri che sono specificamente previsti per un contesto ( il patrocinio per non abbienti) e li ha applicati a un altro contesto (valutazione della capacità di pagamento di un detenuto), il che non è consentito.

L'ordinanza del magistrato di Sorveglianza di Viterbo è stata quindi annullata e la Corte ha rinviato gli atti al giudice per un nuovo giudizio. La Cassazione, con questa sentenza, ribadisce l'importanza di una motivazione rigorosa e basata su prove concrete nelle decisioni relative alla remissione del debito per i condannati per reati gravi.