Le 31 Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) che le regioni hanno realizzato, garantiscono un totale di circa 600 posti per l’esecuzione delle misure di sicurezza detentive. Ma le persone sono molte di più, i pazienti permangono per troppo tempo e si creano inevitabilmente le lista d’attesa. Soluzione? Regolare meglio i flussi dei pazienti in entrata e in uscita dalle Rems soprattutto “attraverso la riforma di alcune norme del codice penale che risalgono ancora al codice Rocco del 1930 non in sintonia con la moderna concezione comunitaria della Psichiatria”. A dirlo è il Coordinamento dei Direttori dei Dipartimenti di Salute Mentale italiani, e lo ha fatto attraverso un documento inviato al presidente della Repubblica e al presidente del Consiglio.

“In Italia cresce il numero delle persone che presentano un disturbo mentale grave ( più del 6% della popolazione generale), crescono i bisogni specifici ( migranti, autori di reato, senza fissa dimora, bambini e adolescenti) e i disturbi emotivi comuni (20% della popolazione generale, con aumento vertiginoso dopo la pandemia) e, allo stesso tempo, diminuiscono le risorse a disposizione della sanità in generale (dal 6,8% del Pil al 6,1% nel 2023) e della salute mentale in particolare (in media il 3% del Fsn, a fronte di una quota del 5% fissata dalla Cu Stato- Regioni nel 2001)”, afferma Giuseppe Ducci, Direttore del Dsm della Asl Roma 1 durante il workshop “Le istituzioni incontrano la Salute mentale – Verso l’incontro di Roma del 18 Maggio 2023”, organizzato dal Coordinamento dei Direttori dei Dipartimenti di Salute Mentale con Motore Sanità, rivolto ai direttori dei Dipartimenti di Salute Mentale italiani, con l’obiettivo di mettere la Salute Mentale al centro delle agende di governo nazionale e regionali.

“I Dipartimenti di Salute mentale sono allo stremo e non riescono più a garantire i Lea. D’altro canto la presa in carico di un paziente grave necessità di continuità, prossimità e di un’équipe multidisciplinare che nessun privato può o vuole offrire. La soluzione? Finanziare i Dsm e riportare la salute mentale, con tutte le sue implicazioni politiche, sociali e di sicurezza al centro dell’interesse collettivo”, continua ancora Ducci. Mentre Enrico Zanalda, Direttore Dipartimento interaziendale di salute mentale Asl To3, sottolinea che questa situazione è stata acuita dal doveroso percorso di superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, conclusosi con la legge 81/ 2014, e che “a distanza di quasi nove anni abbiamo ben presente quali siano le criticità dell’attuale situazione che è stata giudicata pericolosa dalla sentenza numero 22/ 2022 della corte costituzionale. I percorsi di cura dei pazienti con infermità mentale autori di reato sono, nel 90% dei casi, misure di sicurezza non detentive a carico dei Dipartimenti di Salute Mentale”.

Spiega sempre Zanalda che “le 31 Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza ( Rems) che le regioni hanno realizzato, garantiscono un totale di circa 600 posti per l’esecuzione delle misure di sicurezza detentive”, ma “queste vengono però comminate in numero maggiore e inoltre i pazienti restano nelle Rems per dei tempi non sempre adeguati, per cui vi sono altrettanti pazienti in lista di attesa a livello nazionale”. Cosa fare? “È una situazione che dovrà essere affrontata regolando meglio i flussi dei pazienti in entrata e in uscita dalle Rems, attraverso una migliore collaborazione con dei Dsm potenziati e attraverso la modificazione di alcune norme del codice penale che risalgono ancora al codice Rocco del 1930 non in sintonia con la moderna concezione comunitaria della Psichiatria”, osserva sempre il direttore del Dipartimento interaziendale di salute mentale Asl To3.

Questa osservazione lanciata dal Coordinamento dei Direttori dei Dipartimenti di Salute Mentale italiani, è in linea con la proposta di legge presentata due anni fa alla Camera dei deputati da Riccardo Magi di + Europa. Una proposta che ha raccolto l'elaborazione proposta dalla Società della Ragione e da molte altre associazioni e movimenti che scioglie i nodi legati a vecchi principi e afferma nuove categorie legate alla legge 180 per cui la libertà è terapeutica.

Il senso è chiaro. Scegliere la via del giudizio per le persone affette da gravi disabilità psicosociali, non per arrivare a una pena dura o esemplare, ma per riconoscere la loro dignità di soggetti, restituendo la responsabilità - e con ciò la possibilità di comprensione- delle loro azioni; c risparmiando così lo stigma che il verdetto di incapacità di intender e volere e l'internamento recano con sé.

In sostanza si tratta di completare la legge 81 che ha abolito gli ospedali psichiatrici giudiziari, ma che non ha intaccato il sistema del “doppio binario”: quello che riserva agli autori di reato - se dichiarati incapaci di intendere e di volere per infermità mentale- un percorso giudiziario speciale, diverso da quello destinato agli altri cittadini.

Come ha ben spiegato Magi durante la presentazione in Parlamento, l’idea centrale della proposta di legge è quella del riconoscimento di una piena dignità al malato di mente, anche attraverso l’attribuzione della responsabilità per i propri atti. “Il riconoscimento della responsabilità cancellerebbe una delle stigmatizzazioni che comunemente operano nei confronti del folle. La capacità del folle di determinarsi non sarebbe completamente annullata in ragione della patologia e si verrebbe a rompere una volta per tutte quel nesso follia- pericolo che è stato alla base non solo delle misure di sicurezza, ma anche dei manicomi civili”, ha spiegato Magi. L’abolizione della nozione di non imputabilità è stata sostenuta da alcuni psichiatri e attivisti per la salute mentale, proprio come forma di riconoscimento di soggettività al malato di mente, in questo caso autore di reato. Il riconoscimento della responsabilità è anche ritenuto essere un atto che può avere una valenza terapeutica.

Dopo anni dalla chiusura degli Opg è quindi necessario un passo ulteriore. “Occorre rispondere alle spinte regressive, che mettono in discussione alcuni dei capisaldi della Legge 81/ 2014, come il numero chiuso nelle Rems e il principio di territorialità delle strutture, proseguendo nella direzione della riforma e superando il “doppio binario” pena- misura di sicurezza”, ha concluso il parlamentare di + Europa durante la presentazione della proposta di legge rimasta da due anni nel limbo. Ora a chiedere una rivisitazione del codice Rocco sul doppio binario sono anche i direttori dei Dipartimenti di Salute Mentale italiani.