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Pomeriggio da ricordare. In un vertice lungo perché tecnico, la commissione della ministra Marta Cartabia propone la riscrittura della riforma penale. Lo fa con puntualità, ampiezza, in modo organico, riferiscono quasi tutti i parlamentari in ascolto. È un progetto che affronta in modo risoluto il moloch prescrizione. Il gruppo di studio presieduto da Giorgio Lattanzi, predecessore di Cartabia al vertice della Consulta, offre ai capigruppo di maggioranza due soluzioni: un sostanziale ritorno alla prescrizione targata Orlando, con la sospensione appena ritoccata in appello, di 2 anni anziché un anno e mezzo, e con un anno di stop in Cassazione, e recupero del tempo “congelato” in caso di sforamento, nel senso che se “la pubblicazione della sentenza non interviene entro il termine di sospensione, cessano gli effetti di questa” e il periodo di sospensione è rimesso nel conto. Oppure un mix avveniristico fra prescrizione classica, cioè del reato, che esaurirebbe i suoi effetti addirittura alla richiesta di rinvio a giudizio, col subentrare però di una severa e tempestiva improcedibilità per sforamento dei termini di fase, che riguarderebbe tutti gli stadi del processo, compreso il primo grado. Nel secondo meccanismo, che convince di più il Pd, verrebbe prevista una disciplina separata per alcuni gravi reati. È in ogni caso un netto superamento dell’impostazione di Bonafede, sia riguardo la prescrizione sia per l’impianto del ddl penale. Cartabia precede l’illustrazione del piano, affidata ai tecnici, con diverse premesse forti. Primo: «Sulla durata dei processi il governo si gioca tutto il Recovery, non solo quello legato alla giustizia». Secondo: «Chi si sottrae al cambiamento si dovrà assumere la responsabilità di mancare un’occasione così decisiva per tutti» ma «nessuno ce la può fare senza il contributo, l’entusiasmo, la disponibilità di tutti». Terzo: «I giudizi lunghi recano un duplice danno: in caso di prescrizione, la domanda di giustizia da parte delle vittime rimane frustrata» e si «ledono le garanzie». Perciò, «sui processi brevi dovrebbero convergere gli interessi dei cosiddetti giustizialisti quanto dei cosiddetti garantisti».Sono messaggi che servono a richiamare alcune tendenze ellittiche, inclusa forse l’improvvisa virata di Matteo Salvini verso l’alleanza referendaria col Partito radicale. Ma l’argomento con cui Cartabia dà sostanza agli appelli è la tempistica: le ipotesi sventagliate ieri dagli esperti saranno tradotte già la settimana prossima in emendamenti, alcuni dei quali destinati a «valorizzare», assicura via Arenula, le tante proposte avanzate dai partiti. Altro connotato ineludibile: il progetto messo a punto dalla “commissione Lattanzi” ha una forza organica, punta a ridurre i tempi con l’estensione dei riti alternativi, patteggiamento in primis (sconto di pena della metà anziché di un terzo, come proposto pure dal Pd) ma qui è là ridice anche i margini per la difesa (con una disciplina più restrittiva per le impugnazioni in appello). Zanettin (FI), nota «l’inappellabilità, per il pm, delle assoluzioni, inserita fra i nostri emendamenti». Bazoli (Pd) parla di «svolta nell’equilibrio» e rivendica la convergenza del ministero su diverse soluzioni prospettate dal Nazareno, dalla «videoregistrazione degli interrogatori» ai «criteri di priorità per i pm», oltre che sull’ipotesi “processuale” della prescrizione. Conte (Leu) fa notare come «proprio i due percorsi ipotizzati sulla prescrizione premino la logica del mio lodo, che innanzitutto distingueva fra condannati e assolti in primo grado e già prevedeva meccanismi di recupero del tempo congelato». I deputati del M5S non negano «criticità» ma neppure lanciano anatemi. E il presidente pentastellato della commissione Giustizia, Perantoni, riconosce che le proposte di via Arenula sono «interessanti» e si dice «ottimista». Un piccolo miracolo, anche se non è finita. Ma certo, come dice Cartabia in un suo libro sul carcere, un’altra storia inizia qui.