Ritorna di nuovo l’ombra del modello securitario che punta a togliere poteri ai direttori penitenziari e trasferirli, in caso di disordini, alle forze di polizia. Tale timore è scaturito dal fatto che, prima dell’arrivo di Marta Cartabia al ministero della Giustizia, è stato elaborato un documento dal ministero dell’ Interno e trasmesso anche al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, ai Provveditorati regionali e alle Direzioni degli istituti penitenziari. Un documento che, di fatto, mette in discussione il ruolo del direttore penitenziario in caso di disordini. Un documento elaborato dopo le rivolte di marzo 2020 Si tratta di linee guida da adottare nel caso in cui, eccezionalmente, si renda necessario l’intervento delle altre Forze di polizia dall’esterno per ristabilire l’ordine e la sicurezza interna negli istituti penitenziari. Il documento, elaborato a seguito delle rivolte carcerarie di marzo scorso, sottolinea come l’intervento all’interno dell’istituto «è di natura assolutamente eccezionale e pertanto connesso con il verificarsi di eventi non ordinari». Potrà dunque verificarsi «esclusivamente in via residuale e straordinaria e solo dopo che siano stati esperiti tutti i sistemi di contenimento e le risorse a disposizione dell’amministrazione penitenziaria». Come viene sottolineato nel documento, inoltre, in caso di eventi di “straordinaria eccezionalità” potrà essere convocata l’Unità di crisi, con l’eventuale impiego dei reparti speciali quali Nocs e Gis.Ma il nodo critico che della circolare del Viminale è quello riguardante il ruolo dei direttori degli istituti penitenziari. In caso di rivolte, il questore potrà avviare contatti direttamente con il comandante della polizia penitenziaria, scavalcando, di fatto, il direttore dell'istituto coinvolto. Non solo. Se il direttore di un carcere in rivolta chiederà aiuto e rinforzi tramite il Provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria o attraverso il prefetto, la gestione e la responsabilità degli interventi passeranno nelle mani del questore. E sarà lui, anche in questo caso, ad avviare contatti con il comandante degli agenti dell'istituto e a valutare se affidargli il comando delle operazioni o farlo affiancare da un suo funzionario. L'allarme del sindacato dei direttori penitenziari Rosario Tortorella, segretario nazionale del Sindacato direttori penitenziari (Si. DI. Pe.), ha inviato una nota al Dap e al ministero della Giustizia per ricordare le regole penitenziarie che disciplinano l’ordine pubblico, le quali sono differenti da quelle che vigono fuori dalle mura. «Quello penitenziario – si legge nella nota del Si. DI. Pe. -, infatti, è contesto del tutto peculiare e specifico ed è regolato, sul punto, da proprie norme, anche di rango primario, che declinano un concetto di ordine, sicurezza e disciplina, proprio degli istituti penitenziari. Si tratta, cioè, di un peculiare contesto, dotato di una sua autonomia, di propri organi di governo e di gestione delle situazioni emergenziali, fatte salve le doverose sinergie e collaborazioni istituzionali tra i diversi organi amministrativi e di Polizia, che di ordine e sicurezza pubblica elettivamente si occupano sul territorio». Tortorella ci tiene a sottolineare che la dirigenza penitenziaria, all’interno delle carceri, svolge «un ruolo essenziale di armonizzazione e governo complessivo del sistema penitenziario poiché, in ossequio ai principi contenuti nell’art. 27 della Costituzione e compiutamente declinati dall’Ordinamento Penitenziario, negli istituti devono trovare bilanciamento le esigenze dell’ordine, della sicurezza e della disciplina con quelle del trattamento rieducativo e della risocializzazione». Il ruolo dei direttori penitenziari secondo le norme vigenti Il sindacato dei direttori penitenziari ha richiamato alla memoria il quadro normativo di riferimento che deve essere tenuto presente e applicato nel caso si verifichino disordini nelle carceri come quelle di marzo. Innanzitutto c’è il “Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà”, il quale prevede, che, soltanto qualora si verifichino negli istituti penitenziari disordini collettivi con manifestazioni di violenza o tali da far ritenere che possano degenerare in manifestazioni di violenza, il Direttore dell'istituto, laddove non sia in grado di intervenire efficacemente con il personale tutto a disposizione, richiede al Prefetto l'intervento delle Forze di Polizia e delle altre Forze eventualmente poste a sua disposizione. La norma prevede, poi, che il Direttore informi immediatamente il magistrato di Sorveglianza e il Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria competenti per territorio nonché il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria.C’è l’articolo 41 bis della Legge 26 luglio 1975 n. 354 recante le “Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà”, la cui rubrica recita inequivocabilmente “Situazioni di emergenza” prevede, inoltre, che, in casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza, sia il ministro della Giustizia – e non il ministro dell’Interno – ad avere la facoltà di sospendere, in tutto o in parte, nell'istituto interessato ai disordini o alle rivolte l'applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati. La sospensione, peraltro, deve essere sempre motivata dalla necessità di ripristinare l'ordine e la sicurezza e ha la durata strettamente necessaria al conseguimento del suddetto fine. In casi eccezionali spetta al direttore di avvalersi delle Forze di polizia L’articolo 74, sesto comma, del Dpr. n. 230/2000, ancora, prevede che, in casi eccezionali, per operazioni di perquisizione generale dell’istituto penitenziario, sia il Direttore che possa avvalersi, della collaborazione di personale appartenente alle Forze di polizia e alle altre Forze poste a disposizione del Prefetto, ai sensi del quinto comma dell'articolo 13 della legge 1° aprile 1981, n. 121.L’articolo 66 del Dpr. n. 230/2000 prevede che sia sempre il Direttore dell’istituto ove è ristretto il detenuto beneficiario che è tenuto a comunicare i provvedimenti esecutivi di concessione dei permessi premio o di necessità al Prefetto della Provincia competente per territorio rispetto al luogo dove il permesso deve essere fruito, nella sua qualità di Autorità provinciale di Pubblica sicurezza. In caso di ammissione di un detenuto al lavoro all’esterno, ancora, l’articolo 48, comma 14, del suddetto Dpr. prevede che sia la Direzione dell'istituto a consegnare, al detenuto o internato, ed a trasmettere al Dap, al Provveditore regionale e al direttore dell’Ufficio di Esecuzione penale esterna, copia del provvedimento di ammissione al lavoro all'esterno, dandone notizia all'autorità di Pubblica sicurezza del luogo in cui si dovrà svolgere il lavoro all'esterno.Le norme elencate indicano, inequivocabilmente, che il Direttore dell’istituto è responsabile di vertice dell’ordine, della disciplina e della sicurezza interna dell’istituto penitenziario. È lui il superiore gerarchico di tutto il personale, compreso quello della polizia penitenziaria e quindi anche del comandante di reparto. Ci sono taluni sindacati di polizia penitenziaria come il Sappe che vorrebbero essere alle dipendenze del ministero dell’Interno. Ciò però significherebbe un ritorno a un modello di pura custodia e di sola polizia. Le linee guida del Viminale, specifiche per i solo disordini, rischiano di diventare un cavallo di Troia per occuparsi dei penitenziari e scavalcare i direttori?