Gli avvocati ora hanno un manuale. Il titolo è “La difesa dei diritti”. È stato presentato ieri presso la sede del Cnf, nel convegno voluto per ricordare la “Giornata dell’avvocato minacciato”. Il volume porta la firma di due rappresentanti del mondo forense impegnati in prima linea nella campagna internazionale per lo stato di diritto: Barbara Spinelli e Roberto Giovene di Girasole.

La straordinaria ricchezza documentale fa del loro libro un ammonimento non solo per gli “osservatori internazionali dei processi”, evocati nel sottotitolo. Il pro memoria, dice in apertura il presidente del Cnf Andrea Mascherin, «è rivolto anche a chi esclude che possa avvenire da noi quanto avviene in Paesi in cui non vi è un sistema democratico avanzato». Difendere «gli avvocati che in Paesi come la Turchia sono vittime di feroci repressioni è una missione a cui l’avvocatura si sente naturalmente chiamata, in virtù di quell’amore per la difesa che ci accomuna in ogni parte del mondo», ma è anche un modo per «restare vigili sul rispetto dei diritti in tutti i Paesi compreso il nostro».

ANKARA NON È LONTANA

A parlare del dramma degli avvocati perseguitati, arrestati e uccisi è anche una rappresentante del mondo forense turco, Benan Molu, esperta di diritto internazionale. «Dal 2015 la nostra situazione si è fatta drammatica», dice. A chiudere la giornata è invece Elisabetta Zamparutti, ossia un’esponente di quel Partito radicale che non a caso continua a denunciare lesioni allo stato di diritto anche dalle nostre parti, dove pure, dalla Turchia, ci si sente lontani. Zamparutti ribadisce il concetto da cui si era partiti: «Non è che la deriva turca sia tanto estranea alla nostra realtà: tramutare le legislazioni emergenziali, lo stato d’eccezione, in forme giuridiche assorbite e stabilizzate nell’ordinamento, è un processo che dovrebbe suonarci familiare». La rappresentante italiana nel Comitato per la prevenzione della tortura chiama in causa «le legislazioni speciali sul terrorismo e la mafia». E in effetti il doppio binario nel processo penale, in Italia, si definisce a partire da quei due fenomeni. E il Codice antimafia, le sue iperboli sulle misure di prevenzione, per esempio, sono tuttora al loro posto, anche se dovevano essere, nota Zamparutti, «la risposta temporanea a situazioni eccezionali». La “Giornata dell’avvocato minacciato” si celebra in tutto il mondo, ricorda Mascherin. In Italia ieri lo si è fatto in diversi Fori, grazie alle iniziative organizzate per esempio dalle Camere penali di Bologna, Milano e Venezia, oltre che con l’evento al Consiglio nazionale forense. Dove ci si è concentrati, come nella maggior parte delle altre occasioni, sulla situazione turca. Benan Molu descrive la progressione inesorabile con cui, nel suo Paese, si è passati «dall’assetto precedente al colpo di Stato del 2016, che pure non era considerato esemplare quanto a riconoscimento dei diritti, a una situazione veramente drammatica. Secondo i parametri di organizzazioni non governative come Freedom house eravamo uno Stato “mediamente libero”, ora siamo classificati come “non libero”». Impressionanti la forme giuridiche della mutazione: «Si è partiti con la proclamazione, da parte del presidente Erdogan, dello stato di emergenza, che è stato rinnovato ben 7 volte. E la sua vigenza ha trovato concreta affermazione in ben 31 decreti emergenziali che hanno innanzitutto indebolito il diritto di difesa. È così», spiega Molu, «che qualcosa come 1300 avvocati sono stati sottoposti a procedimento penale». Centinaia sono tuttora in carcere, insieme con altrettanti magistrati e giornalisti. Alcune prime linee, come il presidente dell’Ordine forense di Diyarbakir, Tahir Elçi, sono state assassinate. Ma alla ferocia dell’omicidio di Stato è pari quella delle leggi, prosegue l’avvocata turca: «Si è cominciato con il potere del pm di negare al difensore l’accesso agli atti relativi al suo assistito. Quindi si è introdotta la norma, sempre emergenziale, per cui il magistrato può impedire per 5 giorni al difensore di vedere la persona arrestata». Fino alla restrizione più perfida: «Un altro decreto ha stabilito che se un avvocato è sottoposto a procedimento non può più assistere l’indagato». Ed è proprio in questo modo che sono stati prima neutralizzati «i difensori di Ocalan, al quale da 7 anni è vietato di vedere i propri legali», ricorda Barbara Spinelli, «e poi è stato impedito a migliaia di persone di essere difese, con l’uso arbitrario della categoria di terrorista».

L’AVVOCATA SGRADITA

Spinelli, penalista bolognese coautrice del manuale presentato ieri, non ha un profilo da ordinaria cultrice dei diritti umani: nel gennaio 2017 è stata vittima di un vero e proprio «respingimento» da parte delle autorità frontaliere di Istanbul. Partita proprio per una missione da osservatrice internazionale nei processi agli avvocati turchi, è stata trattenuta in una sorta di cella temporanea dell’aeroporto con altri “indesiderati” e poi rimandata in Italia perché, appunto, sgradita. «Attenti quando anche nel nostro Paese vengono negati, per esempio, i diritti degli omosessuali: se decidiamo di tacere su queste menomazioni è meglio se appendiamo la toga al chiodo». Anche perché, come dice Mascherin, «nel comprimere i diritti si comincia sempre da qualche parte». Riecco le analogie fra i decreti enumerati da Molu e lo stato d’eccezione italiano. L’avvocata turca descrive un altro di quelle 31 leggi di Erdogan, quello con cui «al difensore può essere impedito di vedere privatamente il proprio cliente: i colloqui possono essere registrati, e comunque un agente non manca mai. Basta che il caso sia di sospetto terrorismo». Ecco: quante differenze si possono davvero scorgere fra questo sistema e i vetri divisori con cui, fino a pochi mesi fa, i detenuti al 41 bis erano costretti a parlare pure coi figli piccoli?

Un altro storico testimone dell’impegno dell’avvocatura in difesa dei diritti umani, Ezio Menzione, responsabile del relativo osservatori dell’Unione Camere penali, ricorda che «non è solo il processo il punto di attacco: in Egitto il diritti di difesa è più stabile, ma è a monte che lo Stato consuma le proprie violenze: il caso Regeni è la punta dell’iceberg delle 5500 sparizioni degli ultimi anni». Ed è ancora Roberto Giovene a rileggere le atrocità lontane in chiave domestica: «Le norme emergenziali, in Turchia sono state assorbite nel sistema col beneplacito della stessa Corte costituzionale. Della quale il governo nomina i quattro quinti dei componenti». Basta tramutare l’eccezione in norma stabile, come in Italia con la legislazione antimafia, e poi un tratto di penna sulla Costituzione. È un incubo davvero così remoto?