Ennesimo suicidio consumato nelle carceri italiane. Lunedì scorso, intorno alle ore 16.30, un 54enne originario di Enna, ristretto nel carcere di Terni, si è tolto la vita impiccandosi nella propria cella. L’uomo, che recentemente si era visto
respingere la richiesta di scarcerazione dal tribunale di Enna, era stato arrestato nell’aprile del 2021 nell’ambito dell’operazione antimafia “Caput silente” condotta dalla Dda di Caltanissetta.
Gli avevano respinto l'istanza di scarcerazione per acquisire copia del «diario clinico»
Il 54enne lavorava come meccanico ed era stato raggiunto dalla misura cautelare insieme ad altre trenta persone. Sembra che da tempo fosse fortemente depresso, tanto che il suo difensore, l’avvocato Baldi, aveva presentato l’istanza di scarcerazione per «incompatibilità delle condizioni di salute con il regime carcerario». Venerdì il collegio penale del tribunale di Enna, richiamando il parere contrario espresso dal Pubblico ministero, aveva respinto l’istanza, ritenendo di dovere comunque acquisire, prima di revocare o modificare la misura di custodia in carcere, la copia del «diario clinico» e la relazione aggiornata della Direzione sanitaria del carcere di Terni. Il collegio aveva disposto la trasmissione dell’istanza di scarcerazione e delle certificazioni mediche allegate dal difensore alla Direzione sanitaria del carcere di Terni per le «iniziative di sua competenza».
Era da quasi un anno in carcerazione preventiva
Come sappiamo, le istanze per chiedere i domiciliari, quando si è ancora in custodia cautelare, non vengono automaticamente accolte. Non basta nemmeno una relazione sanitaria che individui il pericolo suicidario. E se nel caso venga richiesta, le direzioni sanitarie del carcere hanno i loro tempi burocratici. Non di rado accade che un giudice è costretto a fare un sollecito. Il tempo passa e nel frattempo ci può, appunto, scappare il morto: per suicidio o per malattia a causa dell’incompatibilità. A ciò si aggiunge il problema della lentezza - riguarda una parte dei magistrati di sorveglianza - nel rispondere alle istanze dei detenuti. Nel caso del 54enne, si aggiunge l’aggravante che era da quasi un anno in carcerazione preventiva.
Circa mille persone all’anno vengono incarcerate e poi risulteranno innocenti
Al di là del caso specifico, in generale l’abuso della custodia cautelare è evidente. Come rivela il Partito Radicale per spiegare l’importanza del quesito referendario proprio su questo abuso, circa mille persone all’anno vengono incarcerate e poi risulteranno innocenti. Dal 1992 al 31 dicembre 2020 si sono registrati 29.452 casi. L’Italia è il quinto Paese dell’Unione Europea con il più alto tasso di detenuti in custodia cautelare: il 31%,
un detenuto ogni tre.
La carcerazione preventiva distrugge la vita delle persone colpite: non arreca solo un grave danno di immagine, sottoponendole a un’esperienza scioccante, ma ha gravi conseguenze sulla sfera professionale. Il carcere ha un impatto drammatico sulle famiglie e rappresenta anche un onere economico per il Paese: i 750 casi di ingiusta detenzione nel 2020 sono costati quasi 37 milioni di euro di indennizzi, dal 1992 a oggi lo Stato ha speso quasi 795 milioni di euro. A ciò, ci si aggiunge che si è potenzialmente a maggiore rischio suicidario.
Continua così la macabra media di un suicidio ogni tre/quattro giorni
Resta il fatto che con l’ultimo evento tragico siamo arrivati a 14 suicidi (ufficialmente, per il Dap sono 12, perché due sono ancora “in forse” visto l’utilizzo della bomboletta) in poco più di due mesi dall’inizio dell’anno. Continua così la macabra media di un
suicidio ogni tre/quattro giorni. Ancora sono valide le preoccupazioni espresse dal garante nazionale in merito a questo dato che non può essere sottovalutato. «Solo un dialogo largo, unito a provvedimenti che rispondano alla difficoltà dell’affollamento particolarmente accentuata in questa situazione pandemica, può indicare la via da percorrere per ridurre le tensioni, ridefinire un modello detentivo e inviare un segnale di svolta nel nostro sistema penitenziario», aveva osservato il Garante a fine gennaio quando i suicidi avevano coinvolto otto reclusi. Ora siamo a 14, per un totale di oltre 30 decessi dall’inizio dell’anno, tra suicidi, morte naturale e cause ancora da accertare.
Sono tante le cause dietro a un suicidio
Da ribadire il concetto che ogni suicidio ha una risposta diversa. Dietro questa scelta può esservi solitudine, disagio psichico, trattamento sommario con psicofarmaci, disperazione per il processo o per la condanna, abusi. Non è possibile ricondurre tutto a una sola motivazione. Ma abbiamo delle certezze:
i suicidi non si prevengono attraverso pratiche penitenziarie come il lasciare nudo in una cella una persona ritenuta a rischio di suicidio per evitare che usi lenzuola per ammazzarsi o sottoponendo il detenuto a una sorveglianza asfissiante. Altra certezza è che non bisogna prendersela con l’agente penitenziario di turno. Il rischio è di deresponsabilizzare il sistema penitenziario e le mancate scelte governative. Così come è vero che non c’è un nesso diretto con il sovraffollamento crescente, è altrettanto vero che più cresce il numero dei detenuti, più alto è il rischio che il recluso non possa essere seguito da una equipe come è previsto sulla carta. L’unica prevenzione è rendere il carcere più vicino possibile al modello costituzionale. Al costo dell’impopolarità.