«Molte novità. Alcune interessanti, altre persino estreme, con qualche ombra che permane: da avvocata, da consigliera Cnf, rilevo però un minimo comune denominatore, negli emendamenti dei partiti, quanto meno nelle proposte di Pd e Leu: il mantra del ridurre i tempi prevale su tutto. In nome dell’obiettivo ci si spinge molto al di là del prevedibile, per esempio con una sorta di soluzione alternativa delle pendenze penali, che colgo nell’emendamento dem sull’archiviazione condizionata». Giovanna Ollà coordina la commissione Diritto penale del Cnf. Ha seguito fin dall’inizio i lavori del ddl Bonafede. Ha sollecitato modifiche solo in parte accolte, e «alcuni silenzi pesano», dice ora, «come sull’obbligo di rinnovare il mandato per le impugnazioni in appello. Ma è innegabile la novità dell’impostazione proposta dai partiti alla Camera». Cosa la convince degli emendamenti illustrati dai dem in conferenza stampa? Il rafforzamento dei poteri, almeno per il pm, rispetto alla richiesta di archiviazione. Una maggiore possibilità di evitare il dibattimento quando non utile. Sarebbe stato meglio dare più forza anche al giudice, certo. Va bene il rafforzamento dei riti alternativi, la premialità innalzata da un terzo alla metà. Sono misure a lungo sollecitate dal Cnf e dall’intera avvocatura. Peraltro in alcuni casi noto un coraggio imprevisto. A cosa su riferisce? Leu, per esempio, elimina del tutto i filtri, cioè i reati per cui il patteggiamento è precluso. Molto bene. Ma anche le proposte di entrambi i partiti, Pd e Leu, sull’abbreviato condizionato, libero dal vincolo della economicità processuale, sono interessanti. Un discorso a parte andrebbe fatto sui termini di fase. La cosiddetta prescrizione processuale? Sì. Intanto è positivo che si ricorra a sanzioni processuali, anziché a sanzioni disciplinari nei confronti del giudice. Sono emendamenti sensati. Non mi convincono però due aspetti. Innanzitutto, nella proposta del Pd viene sì eliminata la distinzione del lodo Conte bis fra assolti e condannati in primo grado, ma la differenza ritorna quando si prevede che, per chi ha riportato una condanna, l’improcedibilità scatta a fronte di sforamenti temporali assai più ampi. A me continua a non convincere. Dopodiché, a proposito di sanzioni, il meccanismo della scappatoia disciplinare andava eliminato pure per le indagini. Con cosa andrebbe rimpiazzato? Inutile che l’eccessiva durata della fase preliminare si risolva in conseguenze disciplinari per il magistrato. Sarebbe meglio stabilire l’inutilizzabilità degli atti d’indagine raccolti dopo la scadenza del termine. Nel complesso che giudizio si sente di dare di fronte a queste ipotesi di restyling? Luci e ombre. Ripeto, il passo avanti c’è, in alcuni casi molto deciso. Ma la precedenza attribuita alla riduzione dei tempi a volte è asfissiante. Ho detto dell’assenza di rettifiche sull’obbligo di rinnovare il mandato perché il difensore impugni in appello: andrà a penalizzare soprattutto le difese d’ufficio, i soggetti deboli, in particolare stranieri. È una misura deflattiva, e anche molto pesante: ma a quale prezzo, in termini di diritti? Resta un dato poco chiaro a proposito delle gerarchie di priorità fra i reati da perseguire. Con il mix fra ddl Bonafede attuale ed emendamenti appena annunciati, si rischia una grande disomogeneità fra i diversi distretti. Molto meglio sarebbe prevedere che se una priorità dev’esserci, va stabilita per legge ordinaria. Norme simili potrebbero confliggere con il vincolo costituzionale dell’obbligatorietà? Si deve per forza intervenire sull’articolo 112 della Carta?Prima di rispondere a questo, chiediamoci se alcune previsioni, mi riferisco sempre al pacchetto del Pd, non rischino di violare la Carta per altre ragioni: penso al fatto che fra le priorità per gli illeciti da perseguire è chiamata in causa la qualità dell’autore del reato. Mi pare un’ipotesi implausibile. In ogni caso il quadro, sia tecnico-normativo che politico, è complesso, e prima di tirare una riga temo si dovrà aspettare ancora parecchio.