Davigo ricorda «i 27 magistrati uccisi per mano della criminalità». Li ricorda a tre giorni dall’anniversario della strage di Capaci. Mette il dato a confronto con il resto del mondo progredito e nota: «Non succede in nessun Paese europeo che ci sia un numero così alto di magistrati ammazzati, anzi non ce ne sono mai. Nemmeno in Irlanda o Spagna, che hanno avuto forme di terrorismo devastanti». Tutto questo per Davigo ha una spiegazione, non l’unica ma certo importante, nel fatto che in Italia «le organizzazioni criminali hanno potuto godere persino di qualche sponda in apparati dello Stato. Mentre in altri Paesi chi delinque sa che avrebbe contro tutto lo Stato». Affermazione pesante, non necessariamente sorretta da certezze processuali ma nemmeno facile da confutare. E sono parole con cui si declina ancora una volta l’idea che il presidente dell’Anm ha del ruolo dei giudici: un ruolo di fatto isolato. I magistrati, per l’ex pm di Mani pulite, erano, sono e probabilmente resteranno soli contro tutti. Soli rispetto alla politica e al complesso dei poteri che presiedono alle articolazioni della Repubblica. È la stessa immagine che si proietta dalle frasi sui «politici ladri che hanno smesso di vergognarsi».Il leader del sindacato dei giudici parla a Trani durante l’evento conclusivo del progetto “Dalla criminalità alla legalità: il riutilizzo dei beni confiscati alle mafie”, organizzato nelle scuole. Lo fa a poche ore dalla riunione del Comitato direttivo centrale dell’Anm, fissata per oggi. Nel “parlamentino” dell’Associazione da lui presieduta, Davigo rischia di trovarsi contro i due gruppi che si riconoscono nel cartello di Area, ossia Movimento per la giustizia e, soprattutto, Magistratura democratica. Motivo del contendere: la partecipazione di giudici e pm alla campagna referendaria. L’altro ieri Davigo ha ribadito che la libertà d’espressione del singolo giudice non può essere soffocata, ma ha anche chiarito che «altra cosa è l’adesione a comitati referendari o l’impegno di un’intera corrente». Esclude dunque non solo che l’Anm possa scendere in campo, ma anche che possa esserci un’esposizione compatta di Md nella battaglia per il no. Eppure la corrente “di sinistra” delle toghe ha rivendicato la scelta in modo esplicito, con una pur scarna nota diffusa nei giorni scorsi. La riunione di oggi si preannuncia dunque assai tesa.A Davigo l’esposizione di interi gruppi della magistratura non piace per lo stesso motivo, probabilmente, per cui ieri a Trani ha evocato la solitudine dei giudici di fronte allo Stato colluso: dal suo punto di vista le toghe sono sole sempre, e per questo non dovrebbero mischiarsi con la politica. Se sono vittima delle istituzioni deviate, con quelle istituzioni non devono confondersi neppure in un contesto “incruento” come quello referendario. Così la pensa Davigo, che oggi si troverà nel parlamentino dell’Anm a misurarsi con il fronte “interventista”. Sulla sponda neutralista si vedrà in compagnia della corrente da cui si è staccato, MI, che l’altro ieri ha diffuso un comunicato nettamente contrario a un impegno diretto dell’intera Associazione. E avrà dalla sua anche buona parte dei consiglieri che fanno parte con lui della giunta. A cominciare da Francesco Minisci, vicepresidente e sostituto alla Procura di Roma guidata da Giuseppe Pignatone. Sia il capo dei pm romani che il suo sostituto sono iscritti a Unicost, a sua volta prudente sul referendum. E forte del sostegno indiretto di Pignatone, Davigo si troverà meno solo del previsto. Almeno stavolta.