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Alla fine, come spesso capita in questi casi, si è sorpassati a destra. In attesa che i cinquestelle facciano i conti con il loro sogno proibito, ovvero candidare Davigo, è l’ormai ex presidente dell’Anm ad approfittare di loro per condurre la sua battaglia. Lo fa attraverso un libro e il collega– amico che con lui lo ha scritto, Sebastiano Ardita. Il libro è Giustizialisti. Così la politica lega le mani alla magistratura, uno dei casi editoriali del momento in materia di saggistica divulgativa. Ardita è procuratore aggiunto a Messina ma è soprattutto tra i fondatori della “corrente” nata proprio attorno all’ex pm di Mani pulite, Autonomia & Indipendenza. Sarà lui a parlare anche a nome di Davigo alla commemorazione di Gianroberto Casaleggio dell’ 8 aprile, organizzata dai cinquestelle a Ivrea.
Altro fatto divenuto in poche ore un caso politico. Inevitabile leggervi il primo bagliore di un radioso connubio politico– giudiziario, quello tra lo stesso magistrato del Pool ( con annesso gruppo associativo) e la più giustizialista delle forze politiche, il Movimento di grillo, appunto.
Ardita ha chiarito l’altro ieri in un’intervista al Corriere della Sera di non avere alcuna intenzione di scendere in campo con i pentastellati. E in effetti sarebbe paradossale se lui o Davigo facessero una cosa simile. Come ha spiegato anche in un’intervista al Dubbio un altro magistrato che condivide l’avventura di Autonomia & Indipendenza, il togato del Csm Aldo Morgigni, «noi siano nati innanzitutto per affermare un principio: i magistrati non dovrebbero mai entrare in politica».
Improbabile che Davigo e i suoi si rimangino il proclama. Non entreranno in politica, né con Grillo né al fianco di altri. Faranno la “loro” politica: quella all’interno della magistratura associata. E già quello è un progetto ambizioso: scalfire il predominio delle tre correnti che da anni egemonizzano l’Anm ( Unicost, la “sinistra” di Area e Magistratura indipendente). È un obiettivo coraggioso e in parte persino già raggiunto.
Nel loro Giustizialisti Ardita e Davigo propongono soluzioni acceleratorie per risolvere i dilemmi della giustizia penale: cancellare per esempio norme da loro ritenute pazzesche come quelle secondo cui se cambia il giudice bisogna rifare il processo da capo, e in generale tutti quei meccanismi del nuovo Codice orientati ad assicurare la rigorosa verginità cognitiva del magistrato giudicante. Dopodiché a tutto questo, piaccia o no, fa da sfondo l’idea secondo cui le garanzie sono un indebito favore ai corrotti, e che questi ultimi rappresentano una presenza tentacolare e pervasiva nella scena pubblica del Paese.
La straordinaria astuzia di Davigo e Ardita sta proprio nell’illuminare tale sottofondo. I due colgono così due obiettivi: la seduzione di una parte consistente della magistratura, in particolare delle generazioni più giovani, oppresse dal timore di una perdita di fiducia tra i cittadini e dunque rassicurate da chi scaraventa tutto il malessere sociale nei riguardi delle sole istituzioni politiche. Dall’altra i magistrati di Autonomia & Indipendenza diventano sempre più gli idoli di quell’elettorato giustizialista che vota in massima parte per i cinquestelle.
Da quest’ultima circostanza Davigo e Ardita ricavano straordinaria popolarità. E per quanto i magistrati siano una goccia nel mare degli elettori, non è che siano del tutto estranei ai movimenti d’opinione. Dal che si capisce che di questo passo alle elezioni per gli organi rappresentativi dell’Anm Davigo e i suoi prenderanno sempre più voti.
Il quesito ovviamente è: useranno il consenso interno alla categoria per sfondare nella politica propriamente detta? La risposta è no. Non lo faranno, tradirebbero il principio istitutivo di cui diceva Morgigni. Oltretutto sulla necessità di assicurare, per usare le parole di Ardita, la «non permeabilità» tra i due ambiti, Autonomia & Indipendenza fa un marchio di fabbrica. E ne fa pure un argomento di contrapposizione, per esempio, con il nuovo presidente dell’Associazione magistrati, quell’Eugenio Albamonte che ieri in un’intervista a Repubblica ha ricordato l’incostituzionalità di limiti invalicabili alle candidature dei giudici.
Elettori e forse gli stessi quadri del M5s finiranno insomma sedotti e abbandonati. In compenso quelli di “A& I”, oltre a diventare sempre più forti tra i colleghi, si toglieranno pure lo sfizio di affermare una propria visione della cosa pubblica con risonanza altrimenti inimmaginabile per una corrente della magistratura. E certo con l’effetto di alfabetizzare schiere sempre più robuste dei cittadini al credo del giustizialismo. Che ora ha anche la sua bibbia.