Un dato inquietante emerge dall’ultimo rapporto semestrale di Arci Porco Rosso: cittadini egiziani condannati in Italia per essere “scafisti” vengono trasferiti direttamente dai penitenziari ai Centri di permanenza per il rimpatrio. Da lì vengono deportati in Egitto, dove li attende una nuova incarcerazione con le stesse accuse. L’associazione ha documentato negli ultimi mesi diversi casi, concentrandosi su tre uomini deportati nell’autunno 2024 dai Cpr di Milo ( Trapani) e Pian del Lago ( Caltanissetta). Il contatto mantenuto con loro dopo il rimpatrio ha fatto emergere una realtà paradossale: “le persone detenute in Italia come scafisti vengono nuovamente arrestate all’arrivo in Egitto, in misura cautelare, con l’accusa di traffico di persone”.

LA “ROTAZIONE”: UN SISTEMA PER GONFIARE I NUMERI

Due dei tre deportati, arrivati in Italia in momenti e circostanze completamente diverse, sono stati incredibilmente imputati nello stesso processo in Egitto. Grazie all'intervento dell'organizzazione Refugees Platform in Egypt, che ha fornito assistenza legale, i tre uomini sono stati rilasciati a fine maggio, ma il caso ha aperto uno squarcio su un fenomeno che potrebbe avere dimensioni ben più ampie.

Diversi avvocati italiani hanno infatti riferito ad Arci Porco Rosso che altri loro assistiti hanno subito la stessa sorte dopo il rimpatrio. Il sospetto è che si tratti di una pratica sistemica, confermata da un'inchiesta del giornale egiziano Mada Masr che ha rivelato come il fenomeno della ' rotazione' - l'arresto ripetuto delle stesse persone - si sia evoluto da metodo per colpire attivisti politici a strumento utilizzato contro i presunti trafficanti. Questo meccanismo servirebbe a un duplice scopo: consentire agli agenti di polizia di guadagnare bonus extra e permettere di gonfiare le statistiche ufficiali sul contrasto alla migrazione. La situazione è così preoccupante che persino un procuratore generale egiziano ha aperto un'indagine su questa vicenda.

L’OMBRA DELL’ACCORDO UNIONE EUROPEA - EGITTO

Il rapporto di Arci Porco Rosso pone una domanda pesante: si tratta di dinamiche interne all’Egitto o di un sistema che si muove su scala transnazionale? Il ri- arresto in patria di persone già condannate in Italia sembra infatti funzionale ad alimentare le statistiche ufficiali, proprio mentre l’Unione europea ha firmato con l’Egitto un accordo da 7,4 miliardi di euro. Emblematico il caso di Mahammad Al Jezar Ezet, arrivato in Italia nel 2018 con la nave Diciotti, quando l’allora ministro dell’Interno Salvini - con il benestare dell’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte - bloccò lo sbarco per tre settimane. Condannato a sette anni per favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, oggi Mahammad si trova nel Cpr di Milo come richiedente asilo, ritenuto “socialmente pericoloso”. Rischia di essere incriminato e detenuto una terza volta in Egitto.

Il rapporto analizza anche i dati ufficiali della Polizia di Stato per il 2024, che riporta 240 provvedimenti restrittivi contro ' trafficanti e favoreggiatori', di cui 72 ' scafisti' arrestati al momento dello sbarco. Tuttavia, il monitoraggio indipendente di Arci Porco Rosso ha rilevato 106 persone arrestate dopo gli sbarchi, un numero significativamente più alto. Le incongruenze nei dati suggeriscono che le statistiche ufficiali potrebbero nascondere il vero livello di criminalizzazione in atto. Particolarmente preoccupante è l'applicazione dell'articolo 12 del Testo Unico sull'Immigrazione in contesti nuovi, come le 160 persone arrestate sul confine sloveno, una situazione che necessita di approfondimenti.

L’ARTICOLO 12- BIS: PENE SPROPOSITATE

Con il decreto “Cutro” del marzo 2023 è stato introdotto l’articolo 12- bis del Testo unico sull’immigrazione, che prevede pene da 15 a 30 anni nei casi più gravi. Le prime condanne stanno arrivando: un cittadino sudanese è stato condannato a 12 anni dal Tribunale di Agrigento ( ridotti a 11 anni e 8 mesi in appello), mentre altri processi sono in corso con richieste di condanna fino a 17 anni e mezzo. Queste sentenze rappresentano, secondo Arci Porco Rosso, “una sconfitta rispetto alla tutela dei diritti delle persone criminalizzate”, anche se nei primi processi l'accusa di articolo 12- bis non sempre ha retto, con alcune assoluzioni significative alla Corte di Assise di Locri.

Il rapporto dedica ampio spazio alla vicenda degli otto giovani condannati per la strage di Ferragosto 2015, tre dei quali erano calciatori professionisti libici. Nonostante le numerose irregolarità processuali e nuove testimonianze raccolte, la Cassazione ha dichiarato inammissibili le richieste di revisione di Tarek Jomaa Laamami, Mohammed Assayd e Alaa Faraj. “Pur trovandosi di fronte a un processo decisamente compromesso, per cui ben 8 persone stanno pagando con una vita in carcere, il sistema giudiziario italiano preferisce fare orecchie da mercante”, denuncia l'associazione. La settimana scorsa, dopo dieci lunghi anni, alcuni familiari dalla Libia sono riusciti finalmente a ottenere il visto per visitarli in carcere.

IL CASO CUTRO: PROCESSI PARALLELI

Per la strage di Cutro del febbraio 2023, proseguono due filoni processuali paralleli. Da una parte le condanne severe per i cinque migranti accusati di essere i capitani dell'imbarcazione ( già definitive per Gun Ufuk con 20 anni, confermate in appello per Abdessalem Mohammed), dall'altra il processo per le responsabilità istituzionali contro quattro finanzieri e due militari della Guardia Costiera. In quest'ultimo procedimento, il Gup di Crotone ha escluso come parti civili due dei migranti condannati, Hasab Hussain e Khalid Arslan, motivando che avrebbero “concorso” nello stesso reato. Una decisione che l'associazione contesta duramente: “Quando un'imbarcazione è in pericolo di naufragare, il salvataggio è un obbligo, non un argomento di dibattito”.

Il rapporto si chiude con la storia di Marjan Jamali e Amir Babai, due giovani iraniani processati a Locri per lo stesso viaggio della speranza sulla rotta turca. Posizioni simili, ma destini opposti: Marjan, madre single arrivata con il figlio di otto anni, è stata assolta; Amir invece ha ricevuto una condanna a sei anni e una multa di un milione e mezzo di euro, nonostante il comandante dell’imbarcazione avesse dichiarato in aula che entrambi erano semplici passeggeri. Una sentenza definita dagli avvocati “inspiegabile”, che ha spinto Amir alla disperazione, fino al tentativo di suicidio in carcere pochi giorni dopo la condanna. Gesto che testimonia la disperazione di fronte a quella che l'associazione definisce una 'crudele e insensata condanna'.

UN SISTEMA OLTRE CONFINE

Il quadro che emerge dal rapporto di Arci Porco Rosso è quello di un sistema di criminalizzazione che non si ferma ai confini nazionali, ma si estende in una logica transnazionale dove le stesse persone vengono perseguitate più volte per gli stessi fatti. Un meccanismo che, secondo l'associazione, serve più a “gonfiare le statistiche” che a perseguire reali responsabilità.

La doppia detenzione di cittadini egiziani - prima in Italia come “scafisti”, poi in Egitto come “trafficanti” rappresenta forse l'aspetto più inquietante di questa dinamica, soprattutto alla luce degli accordi economici tra Ue ed Egitto. Una spirale di ingiustizia che trasforma le vittime delle politiche migratorie in capri espiatori di un sistema che preferisce criminalizzare chi fugge piuttosto che affrontare le cause strutturali delle migrazioni. “Dal mare al carcere” non è solo il titolo di un rapporto, ma la fotografia di un percorso di sofferenza che troppo spesso non si ferma nemmeno quando le persone vengono rispedite nei paesi di origine.