Nel complesso quadro del sistema penitenziario italiano, le carceri minorili erano un tempo considerate un faro di speranza, rappresentando un modello educativo e socializzante volto al recupero dei giovani nel tessuto della società. Tuttavia, gli ultimi anni hanno gettato un'ombra cupa su questo scenario, evidenziando un declino allarmante che ha portato al caos istituzioni, un tempo di prestigio, come il celebre Beccaria di Milano.

Situato nella periferia milanese, nelle vicinanze della fermata della metropolitana di Bisceglie, il Beccaria ha una storia di rilevanza nazionale come uno degli Istituti Penali Minorili (Ipm) più importanti d’Italia. Grazie all’impegno delle istituzioni pubbliche e private milanesi, l’Istituto divenne presto un punto di riferimento nel panorama della giustizia minorile italiana. Tuttavia, la situazione attuale dista notevolmente dai fasti del passato, trasformandosi da fiore all'occhiello a simbolo di degrado e disfunzione. Da oltre 16 anni, i lavori di ristrutturazione in corso hanno precarizzato le condizioni sia dei ragazzi detenuti che del personale, contribuendo a creare un ambiente instabile e insicuro.

Episodi come la fuga dei sette ragazzi nel giorno di Natale del 2022 e l'incendio doloso nel reparto infermeria l'anno successivo sono solo la punta dell'iceberg di una crisi più ampia che affligge le carceri minorili. Il sovraffollamento, le carenze strutturali e la mancanza di una direzione stabile hanno contribuito a creare un ambiente volatile, dove il disagio e la disperazione trovano terreno fertile. E così siamo arrivati al caso di abusi e torture che, secondo l’accusa (ma documentata anche dalle riprese della videosorveglianza), coinvolge diversi agenti della polizia penitenziaria.

Ma il problema non è limitato al Beccaria. L'aumento esponenziale del numero di detenuti negli Istituti Penali Minorili, passato da 835 nel 2021 a 1143 nel 2023, è sintomatico di una crisi sistemica che va oltre le singole istituzioni. Il quadro che emerge è ancor più allarmante se consideriamo che il numero di reati è rimasto sostanzialmente stabile, in linea con quello registrato una decade fa.

Secondo quanto afferma Antigone, il merito di questo aumento drammatico del numero di detenuti negli Ipm è da attribuire interamente al decreto legge Caivano. Questa legislazione, oltre a una serie di altre disposizioni, ha provocato un incremento del 37,4% degli ingressi per reati legati alle droghe in un solo anno, senza però essere accompagnata da investimenti adeguati nei servizi per la tossicodipendenza o nell'educazione nelle scuole.

L'aumento degli ingressi negli Istituti Penali Minorili nell'ultimo anno è stato principalmente causato dall'impennata di misure cautelari, evidenziando un'inequivocabile “involuzione normativa” favorita dal decreto Caivano. Questo approccio, improntato alla repressione piuttosto che alla rieducazione, ha messo completamente in secondo piano l'interesse superiore del minore. In aggiunta, va sottolineato come il tasso di recidive sia direttamente proporzionale all'ingresso dei giovani negli istituti penali, specialmente quando, raggiunta la maggiore età, vengono trasferiti negli istituti per adulti. Questo interrompe di fatto ogni percorso rieducativo precedentemente intrapreso.

Prima dell'entrata in vigore del decreto Caivano, i minori che commettevano un reato potevano rimanere negli Ipm fino ai 25 anni, consentendo un percorso di reinserimento più lungo e mirato. Tra le principali novità introdotte dal decreto legge, vi sono l'estensione del daspo urbano ai giovani sopra i 14 anni, l'allungamento della durata del foglio di via di un anno, il potenziamento delle facoltà di arresto in flagranza e l'inasprimento delle pene per reati legati allo spaccio di droga anche di lieve entità. A ciò si aggiunge la possibilità per il questore di vietare l'uso del cellulare ai soggetti sopra i 14 anni, la reintroduzione della custodia cautelare per i minorenni imputati che tentano la fuga, e l'introduzione di un nuovo reato che prevede il carcere fino a due anni per i genitori che non assicurano l'istruzione obbligatoria ai propri figli. Quest'ultima misura, purtroppo, rischia di privare il minore della figura di riferimento, risultando in effetti controproducenti sul lungo termine.

Non finisce qui. ll decreto Caivano solleva anche significativi dubbi di incostituzionalità, come emerge dall’ordinanza del Gip di Trento che ha sottoposto la questione alla Consulta. Il giudice, infatti, chiede di valutare la costituzionalità dell’articolo 27 bis - disposizioni sul percorso di rieducazione del minore - nella misura in cui prevede, per il minore sottoposto a procedimento penale, «una risposta giurisdizionale di tipo sanzionatorio piuttosto che educativo, in contrasto con quanto richiesto dall’articolo 31, comma II della Costituzione, così come interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui qualsiasi trattamento punitivo nei confronti di un minore è ammesso solo se sorretto, animato e orientato da fini educativi».

Nel caso specifico, la difesa del minore aveva chiesto al pm la proroga del termine per il deposito del programma rieducativo al fine di ottenere maggiori informazioni sulla sua situazione e creare un percorso adatto. In concreto, voleva comprendere il motivo che aveva spinto il ragazzo a minacciare il papà, ma il pm aveva respinto l’istanza poiché non prevista dalla norma. Una situazione che solleva seri dubbi di costituzionalità. Il gip definisce la norma “irragionevole” perché «di fronte a un reato non occasionale prevede una procedura che non permette un adeguato approfondimento informativo e un’effettiva presa in carico del minore e dei suoi bisogni educativi».

Le politiche emergenziali del governo, incentrate sulla criminalizzazione e la repressione, hanno completamente trascurato l'interesse superiore del minore, mettendo a rischio decenni di lavoro nel campo della giustizia minorile. Le nuove norme hanno compromesso il delicato equilibrio tra recupero e punizione, minacciando di cancellare un modello italiano di successo nel trattamento dei giovani che delinquono. Il risultato è un aumento delle tensioni all'interno degli istituti minorili e una maggiore propensione alla recidiva una volta che i giovani raggiungono la maggiore età e vengono trasferiti negli istituti per adulti. Tuttavia, il fallimento del sistema carcerario minorile non è solo il risultato di politiche punitive inadeguate.

È anche il frutto di anni di negligenza e disinteresse nei confronti delle condizioni di vita dei detenuti e delle risorse necessarie per il loro recupero. La mancanza di investimenti nei servizi per la tossicodipendenza, l'educazione nelle scuole e le misure alternative alla detenzione ha contribuito ad alimentare il circolo vizioso della criminalità e della marginalizzazione. L'associazione Antigone denuncia da tempo le tensioni e i malfunzionamenti all'interno degli istituti minorili, come evidenziato nel recente rapporto “Prospettive minori”, presentato lo scorso febbraio. La presa in carico dei ragazzi è sempre più disciplinare e farmacologizzata, con un utilizzo smodato di psicofarmaci, soprattutto per i minori stranieri non accompagnati. Questi ragazzi vengono spostati come pacchi da un istituto all'altro a seconda delle esigenze, alimentando ulteriormente le tensioni e la marginalizzazione.