IL LAVORO RENDE LIBERI?

FOUNDER ECONOMIA CARCERARIA

L’ultima grande riforma dell’esecuzione penale fu varata alla fine del 2018 dopo una lunghissima fase preparatoria rappresentata dagli Stati Generali sull’esecuzione penale. Un’occasione unica per coinvolgere la società civile e chi, per motivi professionali, interagisce con le strutture penitenziarie scontrandosi quotidianamente con criticità ed inefficienze. Furono organizzati 18 tavoli tematici, coinvolti circa 200 professionalità del mondo accademico ma anche direttori di carcere, garanti territoriali, avvocati, magistrati, esponenti della società civile e del terzo settore. Una mobilitazione che probabilmente non ha visto eguali in questo settore. Un anno di lavoro e un documento finale con chiare indicazioni al Ministro della Giustizia per promuovere una riforma a 360 gradi che potesse innovare profondamente il sistema- carcere in Italia.

Un’occasione completamente persa. Gli esperti fecero il proprio lavoro proponendo a volte soluzioni interessanti e innovative ma che in gran parte furono bocciate dal compromesso parlamentare.

Leggendo la relazione finale prodotta dal tavolo su “lavoro e formazione”, si ha un’idea chiara su molti dei problemi che pregiudicano la diffusione delle opportunità lavorative in carcere ma mancano proposte importanti che possano cambiare radicalmente la situazione. Si consigliano metodi di organizzazione del lavoro che le singole carceri potrebbero adottare e ci si focalizza sul necessario cambio di termini che descrivono la realtà del lavoro carcerario: mercede, lavoranti, e più generalmente sul gergo che identifica i servizi d’istituto. L’unica proposta sostanziale riguarda la sostituzione ( su base volontaria del detenuto) della retribuzione del detenuto lavoratore con giorni di libertà anticipata; istituto previsto in Romania ma che pone non pochi problemi giurisdizionali e di ordine etico.

Un tavolo quindi che ha descritto bene le criticità del lavoro ma povero in soluzioni e visioni, probabilmente anche per colpa della sua composizione: un magistrato coordinatore, ricercatori, docenti e avvocati, ognuno di grande professionalità e meritevole di stima, ma neanche un esponente del mondo imprenditoriale o del terzo settore, i due universi che veramente hanno la capacità e la potenzialità di fare formazione e creare lavoro in carcere.