IN AUDIZIONE L’ANM RIBADISCE LA SUA CONTRARIETÀ

Sarà probabilmente il 23 maggio l’ultimo giorno utile per la presentazione degli emendamenti alla riforma del Csm in Commissione Giustizia al Senato. Timing che, dunque, allunga i tempi previsti, andando ben oltre la data del 20 maggio, indicata inizialmente come dead line per l’approvazione finale. A stabilirlo, mercoledì, la conferenza dei capigruppo, dopo le tensioni registrate a Palazzo Madama per quello che sembrava un dilatarsi eccessivo dei tempi. Un problema evidenziato soprattutto dai senatori dem Franco Mirabelli e Anna Rossomando, che hanno chiesto chiarimenti sui tempi di approvazione e di trattazione del disegno di legge. La vicepresidente del Senato, in particolare, ha biasimato il «continuo slittamento dei tempi della trattazione: la prassi di rinviare gli interventi in discussione generale» , ha sottolineato, «finisce con il produrre effetti dilatori sul termine degli emendamenti», motivo per cui insistito nel richiedere una fissazione del termine al più presto. Da qui la decisione di proporre il 23 come data, che ora sarà sottoposta alla ratifica della Commissione al termine della discussione generale, che avrà luogo presumibilmente martedì prossimo. In Commissione, intanto, sono andate in scena le prime audizioni sulla riforma. E tra gli auditi c’è stato anche il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia, che ha ribadito le ragioni del dissenso, sottolineando, in particolare, la contrarietà al fascicolo delle valutazioni. «Ci si dice che i magistrati non vogliono essere valutati - ha sottolineato -. Tutt’altro: noi vogliamo essere valutati, vogliamo però che le valutazioni siano rispondenti ai principi del rispetto della garanzia dell'autonomia e dell’indipendenza valutative del magistrato. Il fascicolo c’è già, lo si vuole implementare: benissimo. Ma cosa si mette dentro questo fascicolo? Non si comprende. Probabilmente tutta la produzione annuale di un magistrato. Si finirà per mettere tutto per non leggere nulla. E questo secondo noi è un pericolo: vogliamo valutazioni serie e bisogna selezionare il materiale rilevante». Mercoledì il sindacato delle toghe ha diffuso una nuova nota, chiarendo che la riforma «mette in discussione lo spirito del titolo IV della Costituzione, replicando per i tribunali gli errori di gerarchizzazione già commessi per le procure e confinando giudici e pubblici ministeri in due mondi separati e non comunicanti». Una «logica aziendalistica» che mira «a un lento degrado antropologico della figura del magistrato, solleticato nelle sue più recondite inclinazioni impiegatizie». La giornata di protesta, come noto, è già stata fissata per il 16 maggio, giorno in cui le toghe che aderiranno allo sciopero si asterranno dalle udienze. E in quel giorno, l’Anm di Roma e del Lazio ha indetto un’assemblea per spiegare le ragioni della protesta, aperta a magistrati, avvocati, giornalisti ed esponenti delle categorie della società civile. A dare manforte all’Anm anche L’Associazione nazionale magistrati amministrativi e l’Associazione magistrati della Corte dei Conti, che pur non essendo toccati dalla riforma condividono «le perplessità espresse dai colleghi». La riforma, si legge in una nota trasmessa al sottosegretario Francesco Paolo Sisto, alla ministra Marta Cartabia e a Santalucia, rischierebbe di «ledere la garanzia costituzionale dei cittadini al buon funzionamento della giustizia», affermano le rispettive presidenti, Gia Serlenga e Paola Briguori. Secondo cui «l’avanzamento dei magistrati slegato da criteri strettamente automatici ha già dato risultati abnormi negli anni passati; volerlo oggi ancorare anche al tasso di riforma delle decisioni adottate rischia di compromettere la libertà di convincimento e l’indipendenza del singolo magistrato, favorendo una pericolosa spinta alla verticalizzazione dell’intero plesso, senza apportare una reale utilità al funzionamento del sistema se l’obiettivo è – e non può essere diverso - garantire il cittadino».