La vulgata che affolla i corridoi di via Arenula è la seguente: gli emendamenti governativi alla riforma del Csm giacciono da giorni a palazzo Chigi, e dunque non si capisce perché il presidente del Consiglio, Mario Draghi, durante la conferenza stampa di fine anno aveva detto di «non sapere» se quegli emendamenti sarebbero arrivati in Consiglio dei ministri già ieri, cosa puntualmente non accaduta.

L’informazione trapelata ieri da via Arenula riguarda l’incontro di giovedì scorso a palazzo Chigi tra la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, e Draghi, in cui la Guardasigilli ha riferito le novità sul confronto con i partiti circa la sua proposta di riforma del Csm. Al termine dell’incontro non era tuttavia emerso che proprio in quella sede Cartabia aveva anche presentato i suoi correttivi al testo al Dagl, dipartimento per gli Affari giuridici e amministrativi.

Dunque, perché rimandare? È probabile che, vista la delicatezza del Cdm di ieri, che aveva all’ordine del giorno le misure di contrasto alla pandemia, Draghi non abbia voluto mischiare le due tematiche, ma è ancora più probabile che il presidente del Consiglio, sapendo benissimo che su alcuni aspetti della riforma del Csm l’intesa tra i partiti di maggioranza non è ancora completa, non abbia voluto rischiare di trasformare una riunione così delicata, peraltro all’antivigilia di Natale, in uno scontro interno alla maggioranza.

In particolare, i dissidi riguardano le norme che dovrebbero regolare il meccanismo delle cosiddette porte girevoli tra politica e magistratura, argomento discusso da Draghi in conferenza stampa due giorni fa.

Negli emendamenti della ministra Cartabia avrebbe infatti prevalso la linea dei Cinque Stelle, la quale prevede che ci sia un divieto di rientro nelle sue funzioni del magistrato eletto o nominato a una carica pubblica, e che quindi egli debba assegnato ad altro ruolo, ad esempio come dirigente al ministero della Giustizia. Norma molto contestata dalla magistratura e dagli stessi dirigenti di via Arenula, che non vogliono vedersi assegnati magistrati “ex politici”. E così Cartabia aveva proposto una linea più soft: un magistrato “sceso in politica” sarebbe potuto rientrare in magistratura, ma altrove rispetto al distretto dove svolgeva le sue funzioni prima di candidarsi o in quello di candidatura.

Ma ci sono anche altre questioni ancora da dirimere, prima delle quali il meccanismo di elezione dei componenti togati del Csm.

Alcuni partiti, in primis Forza Italia, chiedono che essi vengano eletti con un cosiddetto “sorteggio temperato”, cioè che vengano individuati solo dopo che sia stato sorteggiato un multiplo dei seggi assegnabili. Idea che ha ricevuto il “no” secco del Pd e che ha suscitato perplessità nella stessa ministra.

Con ogni probabilità è stata dunque questa serie di motivazioni a dissuadere Draghi dall’occuparsi di Csm nel Cdm di ieri. Bisogna ricordare inoltre che, come per la riforma del penale, Cartabia porterà in Cdm non un ddl ma degli emendamenti a un testo già incardinato in Parlamento, cioè quello presentato alla Camera nell’estate 2020 dall’allora Guardasigilli, Alfonso Bonafede.

La stessa ministra Cartabia ha infine ricordato che, a differenza di quello sul penale, il testo sulla riforma del Csm non è blindato e potrà subire modifiche in sede parlamentare.