Ci siamo. La riforma sembrava finita in freezer. Non è così: il ddl delega sul Csm sarà in Consiglio dei ministri giovedì prossimo. Prima un’ultima verifica di maggioranza, lunedì o martedì, per affinare qualche dettaglio. Poi il testo sarà pronto per il via libera a Palazzo Chigi. «Non bisogna pensare che il sistema elettorale da solo possa risolvere ogni problema, impedendo ogni degenerazione correntizia e il connesso impoverimento etico. La legge elettorale, seppur importantissima, non è la sola chiave per preservare l’autorevolezza e la credibilità della magistratura», avverte il sottosegretario Andrea Giorgis.

Professore dei Diritto costituzionale a Torino, figura chiave del Pd in materia di giustizia, Giorgis ha tenuto molto nelle ultime settimane a offrire un contributo, nella discussione col guardasigilli Alfonso Bonafede, che sdrammatizzasse la nuove regole per eleggere i togati. Niente sorteggio, questo è sicuro. Si dovrebbe partire da un sistema misto, uninominale ma con uno sfondo proporzionale, per preservare la legittimazione degli eletti insieme con la loro rappresentatività. «Un aspetto che non dobbiamo sottovalutare», spiega il sottosegretario alla Giustizia, «è quello della rappresentatività del Csm e in particolare dei membri togati».

In realtà il costituzionalista ed esponente del Pd ne aveva parlato con una certa dovizia di dettagli al convegno organizzato tre settimane fa da Area, la componente progressista delle toghe. Aveva chiarito già in quella sede che sul meccanismo per eleggere i togati a Palazzo dei Marescialli, e non solo su quello, il ministero della Giustizia e l’intero governo hanno scelto di affidarsi a «un confronto sincero tra le forze politiche e con le diverse competenze di magistratura, avvocatura e accademia». Anche per la necessità di approfondire tecnicamente i dettagli, nelle ultime settimane la riforma del Csm è un po’ uscita dai radar della politica.

Ma ora è pronta. E pare appunto destinata a incrociarsi con la logica descritta da Giorgis: meno enfasi sulle alchimie elettorali, fari puntati su aspetti meno glamour ma decisivi. «Uno a cui tengo molto è il sistema di reclutamento dei cosiddetti magistrati segretari», ricorda al Dubbio il sottosegretario alla Giustizia, «e dei magistrati addetti all’ufficio Studi e documentazione: oggi sono appunto magistrati scelti per cooptazione. Sarebbe invece più opportuno selezionarli per concorso un po’ come avviene per i consiglieri parlamentari, o comunque attraverso modalità capaci di garantire una loro maggiore autonomia e di coinvolgere tutte le migliori espressioni del mondo giuridico».

Sembra un dettaglio. Davvero non lo è. Tanto che quando Giorgis ne ha fatto cenno al convegno di Area, la cosa è passata un po’ sotto silenzio ma non agli occhi di chi, come il componente Csm Alfonso Maria Benedetti conosce da vicino il funzionamento del Consiglio: «È un’idea rivoluzionaria», ha commentato il laico indicato dal M5S. «In generale», spiega ancora Giorgis, «i laici fanno spesso notare che nelle istruttorie sulle nomine, e non solo, chi compone materialmente il fascicolo ha un peso importante per le scelte dei consiglieri. Dagli elementi raccolti in fase di documentazione dipende spesso l’esito dell’istruttoria e poi della decisione. Ecco, io credo si arrivi ad affrancare il Csm dalle degenerazioni correntizie assai più con tali regolazioni che coi miracoli dei sistemi di voto».

Altro capitolo importante riguarderà la genesi stessa dei criteri per assegnare gli incarichi di procuratore capo o presidente di Tribunale. Oggi dipendono dalla cosiddetta normazione secondaria, autoprodotta all’interno del Csm. E lì spesso si sono insediati, invisibili, i virus che hanno favorito, con la complessità dei criteri, scelte basate sull’appartenenza. Secondo la riforma scritta da Bonafede con Giorgis, il sottosegretario Vittorio Ferraresi e gli sherpa della maggioranza, le nomine del Csm avverranno d’ora in poi sulla base di criteri definiti dalla legge ordinaria con maggiore precisione. Alcune norme naturalmente entrano in gioco già col ddl in arrivo: come quella che impedirà le cosiddette nomine a pacchetto, attraverso un rigoroso ordine cronologico nella trattazione, in modo che non se ne possa più accantonare, appunto, un “pacchetto” da assegnare secondo logiche di spartizione.

Si dirà: in un simile quadro la legge elettorale dei togati è la cenerentola della riforma. No: si parte da uno schema, aperto alla discussione parlamentare, che elimina il collegio unico nazionale e la distinzione degli eletti fra funzioni requirenti e giudicanti, con il nuovo vincolo della parità di genere. Non ci sarà sorteggio, neppure temperato, ma potrebbero esserci collegi uninominali in cui passa il primo solo se raggiunge una soglia alta, altrimenti si va al riparto proporzionale. Con pluralità di preferenze esprimibili da ciascun magistrato elettore. «Non credo sia necessario cercare di eliminare il pluralismo associativo dei magistrati», ha detto Giorgis al convegno di Area. L’obiettivo cioè non è annichilire le correnti, ma fare in modo di liberarle dal virus delle spartizioni compulsive.