Grande è la confusione sotto il cielo di via Arenula. Tutt’altro che archiviata la crisi della riapertura dei tribunali post-covid, sulla scrivania che fu di Togliatti si affastellano pratiche su pratiche, tutte pronte ad esplodere e potenzialmente dirompenti. La prima, la più corposa, rimane la riforma del Csm. L’organo di autogoverno della magistratura al centro dello scandalo Palamara aspetta da un anno una legge che lo riformi (soprattutto dopo l’ultima ondata di intercettazioni pubblicate sul rapporto tra toghe e politica) ma di rinvio in rinvio la bozza voluta dal ministro Alfonso Bonafede non è ancora stata resa nota. Voci dalle riunioni confermano che contenga la modifica del sistema elettorale, il blocco delle porte girevoli tra ruoli politici e scranni di tribunale e la divisione della commissione disciplinare da quella che valuta gli avanzamenti di carriera. Punto nodale, però, che ha inchiodato al palo il testo, è l’impuntatura del ministro a voler mettere mano al regime delle ineleggibilità dei consiglieri laici: Bonafede e i 5 Stelle vorrebbero vietare che parlamentari e membri del governo possano venire eletti, Pd e Italia Viva hanno posto un veto su una pregiudizialità che rischia di screditare il lavoro quantomeno degli ultimi due vicepresidenti ( entrambi parlamentari dem).

Come se non bastasse, il ministero della Giustizia ha per le mani anche le due grandi riforme della giustizia penale e di quella civile: quest’ultima diventata oggetto di riflessioni da parte del think thank di Carlo Cottarelli, ma anche della task force di Colao voluta dal premier Conte e soprattutto dell’Unione europea, che ha vincolato i fondi del Recovery Fund a una velocizzazione della giustizia civile. La seconda, la riforma del penale, è stata oggetto di aspri scontri tra avvocati e magistrati e infiniti tavoli di confronto voluti dal ministro. Fino a che ieri la presidente della commissione Giustizia della camera, la grillina Francesca Businarolo, ha annunciato: «L’Ufficio di presidenza ha deciso oggi che la prossima settimana verrà incardinato l’esame della delega sul processo penale. Sono certa che ci sarà ampia interlocuzione e collaborazione da parte di tutti i gruppi nel comune intento di portare a termine una riforma essenziale per la giustizia italiana». Proprio perchè si tratta di una legge delega, la vera luce della riforma si vedrà quando il governo la tradurrà in atto avente forza di legge, ma già la sua approvazione fisserebbe paletti ben precisi, per quanto ancora non del tutto fissati. Proprio il macrocosmo legislativo del penale, però, contiene in sè quella che potrebbe tornare ad essere la spina nel fianco del ministro: la legge sullo stop alla prescrizione voluta da Bonafede anche a costo di provocare una quasi crisi di governo potrebbe tornare all’ordine del giorno. Italia Viva, che aveva votato contro ed era anche scesa in piazza, non si è ancora data per vinta: lo stesso Matteo Renzi ha richiamato più volte il tema, riportandolo sul tavolo del governo come «una discussione mai conclusa». Nè è un mistero che nelle riunioni per salvare Bonafede dalla mozione di sfiducia i renziani abbiano chiesto in cambio proprio questo: il ripristino della prescrizione. Loro hanno mantenuto la loro parte di accordo e ora puntano a incassare la contropartita. E, per dare una scossa al governo, Italia Viva si è astenuta in commissione Giustizia al Senato sull’emendamento al Dl Giustizia presentato da FI, che ha riproposto il “Lodo Annibali” per chiedere lo stop della riforma della prescrizione. L’emendamento è stato comunque respinto anche se per un solo voto, ma l’avviso ai naviganti è stato lanciato.

Infine, a completare l’assedio di Bonafede, è intervenuto anche il Pd. In particolare il vicesegretario ed ex Guardasigilli Andrea Orlando ha ripescato la sua riforma del sistema penitenziario dal binario morto su cui era stata avviata. Come se la questione delle carceri ( e del suo sistema di misure alternative) non fosse sufficientemente calda e fonte di qualche grattacapo per il ministro grillino, Orlando ha detto chiaro e tondo al manifesto che «L’auspicio è che si riprenda il lavoro sulla giustizia che avevo promosso, perché ho la presunzione di pensare che quel metodo andrebbe adottato in molti campi e quel risultato non vada disperso. Credo che oggi ci siano le condizioni adatte per riprendere il filo di quel discorso». Quali siano queste nuove condizioni, Orlando lo chiarisce parlando di un risveglio nei 5 Stelle: «Credo che nel M5S ci siano sensibilità che fin qui non hanno prevalso». Una frase sibillina, che però non suggerisce certo sonni tranquilli per Bonafede, che da Guardasigilli del Conte I archiviò proprio il lavoro di Orlando.