Va tutelato il distanziamento fisico anti Covid anche per i richiedenti asilo accolti nei centri di accoglienza. Così hanno sentenziato i giudici della Cassazione accogliendo il ricorso presentato dall’associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi). Una grande vittoria, perché la Corte riconosce che non va discriminato chi è accolto in un centro di accoglienza. Nel marzo 2020, l’Asgi aveva iniziato una controversia davanti al Tribunale di Bologna chiedendo che il ministero dell’Interno, il comune di Bologna, la regione Emilia Romagna e il Consorzio L’Arcolaio garantissero ai richiedenti asilo ospiti del Cas Mattei il distanziamento personale imposto dalle misure anti-Covid, denunciando che nella struttura non erano rispettate in quanto gli ospiti erano costretti a vivere in stanze di 8-10 persone e senza spazi comuni compatibili con dette misure. Il Tribunale ha per tre volte respinto la causa dichiarando che doveva essere proposta davanti al Tar in quanto il Cas è un contesto nel quale il ministero (e gli altri soggetti) hanno potere discrezionale, condannando pesantemente Asgi al pagamento delle spese di giudizio. Martedì scorso, però, arriva la rivincita. La Corte di cassazione ha dato ragione ad Asgi, dichiarando che il diritto alla salute, anche dei richiedenti asilo, va esaminato dal Giudice ordinario, cioè dal Tribunale, perché non vi è potere discrezionale a fronte di misure pre-determinate dal legislatore in modo tale da non consentirne attuazioni differenziate e discriminatorie (le misure sul distanziamento personale). La Cassazione, elencando le varie disposizioni attuative del decreto legge emanato nel 2020 (e poi successivamente prorogate) recante le misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da Covid-19, applicabili sull'intero territorio nazionale, evidenza che nella stessa direzione e con specifico riferimento alla materia dell'accoglienza dei richiedenti asilo rilevano le circolari del ministero dell'Interno prot. n. 3393 del 18.3.2020 recante «Interventi di prevenzione della diffusione del virus Covid-19 nell'ambito del sistema di accoglienza e dei centri di permanenza per il rimpatrio. Ulteriori indicazioni» e prot. n. 3728 del 1.4.2020 recante «Interventi di prevenzione della diffusione del virus Covid-19 nell'ambito del sistema di accoglienza», adottate con specifico riferimento alla situazione dei centri di accoglienza straordinaria. In tali atti, come detto provenienti dall'autorità ministeriale centrale funzionalmente competente alla gestione dei flussi di richiedenti asilo, «(...) si sottolinea l'esigenza di assicurare, nell'ambito dei centri, le dovute distanze interpersonali e di evitare forme di assembramento, anche nel momento dell'erogazione dei pasti, anche garantendo il decongestionamento dei centri maggiormente affollati attraverso un'eventuale redistribuzione dei migranti in altri centri». Sempre i giudici della Cassazione sottolineano che in piena crisi pandemica la medesima amministrazione centrale ha indicato «la necessità di assicurare nelle strutture di accoglienza il rigoroso rispetto delle misure di contenimento della diffusione del virus previste a livello nazionale, onde evitare l'esposizione ai rischi di contagio per i migranti accolti e per gli operatori, nonché di generare situazioni di allarme sociale dovute al mancato rispetto, da parte dei primi, dell'obbligo di rimanere all'interno delle rispettive strutture», poi aggiungendo che «(...) è inoltre opportuno mantenere un costante collegamento con gli enti gestori dei centri, sotto il duplice obiettivo di monitorare il rispetto delle prescrizioni imposte e di intercettare eventuali difficoltà operative». Altra inequivocabile indicazione è dove si afferma «(…) la necessità di assicurare che nell'ambito dei centri vengano adottate le necessarie misure di carattere igienico-sanitario e di prevenzione, nonché evitate forme di particolare concentrazione di ospiti». Per i giudici della Corte Suprema, può quindi concludersi che il servizio di accoglienza straordinaria in favore dei soggetti ospitati nelle strutture di accoglienza straordinaria risulta improntato, per espressa volontà delle fonti normative, alla protezione dei bisogni basilari delle "persone richiedenti asilo" e al perseguimento di una rete di sicurezza sociale che, per il tramite di parametri normativi predeterminati dal legislatore, sono espressione dei canoni di ragionevolezza e solidarietà, i quali informano il sistema costituzionale interno. Per questo motivo, il dovere di salvaguardare la salute dei soggetti richiedenti asilo accolti nei Centri di accoglienza risulta – scrivono i giudici – «intimamente legato al principio di solidarietà nella sua proiezione verticale, pubblica ed istituzionale, e per ciò stesso improntato ad impedire forme discriminatorie di tutela, quando appunto entrano in gioco posizioni soggettive riferibili a persone che versano, spesso, in situazione di evidente vulnerabilità proprio in ragione della condizione di richiedente asilo e dell'impossibilità di regolare autonomamente la propria esistenza all'interno delle strutture di accoglienza».