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Nel 2015 l'Italia ha versato oltre 77 milioni di euro per gli indennizzi dovuti a violazioni riscontrate dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. È ciò che emerge dalla relazione annuale sull'Esecuzione delle pronunce della Corte europea nei confronti dell'Italia presentata a luglio dal dipartimento per gli Affari giuridici e legislativi della presidenza del Consiglio dei ministri. Il costo degli indennizzi ? se confrontati con il 2014 ? segna un grande balzo in avanti visto che l'ultima volta lo Stato ha dovuto sborsare poco più di 5 milioni di euro. Perché questa impennata? Il governo ha cambiato strategia per evitare le condanne accettando la conclusione di regolamenti amichevoli per evitare accertamenti della colpevolezza e quindi dover pagare molto di più. Ciò significa che il rispetto del diritto umano e civile è ben lontano dall'essere realizzato.Il colpo enorme per le casse dello Stato ? si legge nella relazione che viene presentata ogni anno in base alla legge 12/2006 ? «è il risultato dell'attuazione delle politiche di riduzione del contenzioso seriale poste in essere attraverso i piani d'azione». Tale strategia ha comunque fatto uscire l'Italia dal gruppo di testa dei dieci Stati che hanno accumulato il maggior numero di condanne nel 2015, arrivando a 24 sentenze. Ma il pericolo di nuove condanne non è scongiurato. Rimane ancora ferma l'introduzione del reato di tortura nonostante la condanna all'Italia nel caso Cestaro. Ricordiamola. Nell'aprile del 2015 la Corte di Strasburgo condannò l'Italia a versare 45mila euro per risarcire il 75enne Arnaldo Cestaro (nella foto in alto) presente all'interno della scuola Diaz di Genova durante il G8. La sentenza di condanna stabilì inoltre che quanto compiuto dalle forze dell'ordine italiane nell'irruzione alla Diaz il 21 luglio 2001 «deve essere qualificato come tortura». La Corte europea dei diritti umani ha condannato l'Italia non solo per il pestaggio subito da uno dei manifestanti (Cestaro, l'autore del ricorso, appunto) durante il G8 di Genova, ma anche perché non ha una legislazione adeguata a punire il reato di tortura; un vuoto legislativo che ha consentito ai colpevoli di restare impuniti. «Questo risultato ? scrissero i giudici ? non è imputabile agli indugi o alla negligenza della magistratura, ma alla legislazione penale italiana che non permette di sanzionare gli atti di tortura e di prevenirne altri». All'origine del procedimento c'era appunto il ricorso presentato da Cestaro, manifestante veneto che all'epoca aveva 62 anni e che rimase vittima del violento pestaggio da parte della polizia durante l'irruzione nella sede del Genova Social Forum. L'uomo, il 21 luglio 2001, era il più anziano dei manifestanti presenti nella scuola Diaz a Genova. Gli agenti lo sorpresero mentre dormiva, gli ruppero un braccio, una gamba e dieci costole durante i pestaggi. Nel ricorso, portato avanti dagli avvocati Nicolò e Natalia Paoletti, Joachim Lau e Dario Rossi, Cestaro affermò che quella notte fu brutalmente picchiato dalle forze dell'ordine tanto da dover essere operato e subire ancora oggi le conseguenze delle percosse subite. I giudici europei gli dettero ragione in toto, decidendo all'unanimità che lo stato italiano ha violato l'articolo 3 della Convenzione sui diritti dell'uomo nella parte in cui recita: «Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti».Se il governo non si deciderà ad approvare la legge sulla tortura, ci sarà il rischio di una nuova tegola da parte della Corte europea. Altri soldi che svuoteranno le casse ? già in crisi ? dello Stato. Davanti ai giudici di Strasburgo pendono altri due ricorsi presentati da 31 persone per i pestaggi e le umiliazioni ai quali furono sottoposte nella caserma di Bolzaneto. La Corte non ha ancora deciso ufficialmente quando emetterà le sentenze, ma non tarderanno molto ad arrivare.