Difesa della scelta di aprire le società tra avvocati a soci non professionali. Ma anche disponibilità a una «ulteriore riflessione» e al «monitoraggio» delle misure relative alla funzione difensiva contenute nel ddl concorrenza, fermamente contestato dall’avvocatura. È questa la posizione del sottosegretario alla Giustizia Cosimo Maria Ferri su norme che comunque gli organismi rappresentativi della professione hanno segnalato al presidente della Repubblica come capaci di compromettere la tenuta di principi costituzionali, e per le quali è stata chiesta al Capo dello Stato il rinvio del ddl al Parlamento.

Sottosegretario Ferri, perché il Governo ha voluto che in un provvedimento non proprio ascrivibile all’ambito dei diritti inviolabili come il ddl concorrenza trovasse posto una nuova disciplina delle società tra avvocati?

Stiamo parlando di un provvedimento complesso che ha avuto una lunghissima gestazione parlamentare, con oltre 130 audizioni e più di 1.700 emendamenti presentati, la cui approvazione ha richiesto quasi due anni. Si tratta di una legge che ha l’ambizione di incidere su una serie di settori vitali per l’economia del Paese e per la vita del cittadino, dalle assicurazioni all’energia, dai trasporti alle farmacie, in modo da accrescere, in ultima analisi, le garanzie del consumatore nell’ambito di un mercato maggiormente concorrenziale.

D’accordo, ma il diritto di difesa ha poco a che vedere col mercato.

Va tenuto presente un aspetto a mio giudizio molto importante: la crisi degli ultimi anni ha investito anche le professioni liberali, che vivono, per questo motivo, un momento di profonda trasformazione. Ora, io credo che le istituzioni abbiamo il compito, molto delicato, di dare risposte adeguate, modernizzando le re- gole tradizionali senza snaturare l’autonomia della prestazione intellettuale. Ciò ha portato a individuare, nell’avvocatura, un obiettivo prioritario nella programmazione delle scelte operate in questi anni dal ministero della Giustizia. È stata data attuazione alla riforma forense del 2012 con uno sforzo unitario e senza precedenti, che nel segno del dialogo può consentire alla professione di raccogliere nuove sfide in un mutato contesto socio– economico.

Ma Cnf, Ocf e Ucpi hanno ripetutamente messo in guardia dal pregiudizio che l’ingresso di soci non professionali nelle società tra avvocati avrebbe arrecato all’indipendenza di una funzione decisiva per la democrazia come la difesa dei diritti.

Guardi, io sono convinto che, nel corso di questo processo di modernizzazione, l’attenzione debba essere focalizzata sulla salvaguardia dell’indipendenza della prestazione e della dignità costituzionale della funzione dell’avvocato, e posso dire che proprio questa è la bussola che sta guidando l’azione del legislatore. Credo che questa sensibilità sia saldamente alla base della nuova disciplina della società tra avvocati che, non dimentichiamolo, costituiva oggetto di un’analitica delega dettata dalla legge di riforma dell’ordinamento forense. Peraltro, il bisogno di regolare con chiarezza l’esercizio della professione forense in forma societaria è sentito da tempo e risponde all’esigenza, avvertita dalla stessa avvocatura, di adeguare la disciplina generale delle società tra professionisti al rilievo costituzionale dell’attività difensiva.

Ma è proprio questo rilievo costituzionale che gli organismi rappresentativi dell’avvocatura ritengono “tradito”.

Aspetti. Le previsioni inserite nel ddl concorrenza da una parte rispondono alla finalità, trasversale a tutto il provvedimento, di migliorare l’apertura al mercato, ma nello stesso tempo giungono a una soluzione a mio avviso equilibrata se consideriamo che, oltre al limite di un terzo per l’ingresso di soci non professionisti, si ribadiscono con fermezza i principi della personalità della prestazione e della maggioranza dei membri dell’organo di gestione composta da soci avvocati. Sono venuti meno, va detto, i vincoli, previsti dalla legge di riforma forense, secondo cui un avvocato avrebbe potuto far parte di una sola associazione o società. A una domanda di competenze sempre più ampia e qualificata si risponde, insomma, con la creazione di nuovi modelli di azione e senza mai abdicare alle garanzie di personalità e indipendenza della professione forense, a tutto vantaggio della qualità delle prestazioni.

Sottosegretario, riguardo all’indipendenza, solo per citare una delle criticità segnalate ora al Capo dello Stato, c’è il fatto che nulla vieta a un socio non professionale di diventare amministratore delegato.

È vero, ma le direttive promanano pur sempre dall’organo di gestione la cui maggioranza deve essere composta da soci avvocati. Va anche detto che il testo ha subito delle revisioni, nel corso dei diversi passaggi parlamentari: per esempio, con la modifica in base alla quale i soci professionisti posso rivestire la carica di amministratori, il che assicura il possesso dei requisiti richiesti per l’iscrizione al relativo albo.

A proposito della personalità della prestazione, Cnf e Ocf segnalano un altro squilibrio: i soci non avvocati godranno della limitazione patrimoniale di cui godono le società di capitali e i loro meri finanziatori, l’avvocato invece risponde fino in fondo.

Il punto è che alla personalità della prestazione fa, da risvolto della medaglia, la responsabilità parimenti personale del professionista in base ai principi generali. Responsabilità professionale che concorre con quella, di natura patrimoniale, della società e dei soci.

Viene contestato anche il fatto che non sia imposto alcun requisito di onorabilità per i soci non avvocati. Il che non impedisce che la criminalità organizzata possa aprirsi propri studi.

Il tema è delicato e impone di riflettere sulla necessità di una mediazione tra apertura al mercato ed impossibilità di rimettere al mercato il rispetto delle garanzie di onorabilità e competenza in capo a chi esegue la prestazione. Allo stato, comunque, il nucleo insopprimibile di tale garanzia è dato dal fatto che l’incarico può essere svolto soltanto dal socio professionista che possegga i requisiti necessari per la specifica prestazione richiesta dal cliente.

Tra i punti criticati dall’avvocatura, in parziale e rapida successione, si ricordano le critiche su incertezza dell’inquadramento fiscale, degli aspetti previdenziali, assenza di regolazione delle crisi societarie, mancata ripartizione delle competenze tra i diversi ordini a cui appartengono i soci delle società multidisciplinari.

Non c’è dubbio che si tratti di una riforma con un notevole carattere di novità e che per questo andrà necessariamente monitorata nella sua attuazione e perfezionata nelle eventuali criticità applicative. Riguardo alla previsione della disciplina previdenziale della categoria, si tratta di un tema da tempo al centro del dibattito, che va però affrontato, sul piano generale, prima di tutto in termini di equità di un sistema che deve considerare, anche con misure assistenziali, le difficoltà di inserimento dei giovani avvocati nel circuito professionale. Quanto alla regolazione della crisi delle società tra avvocati, va detto che la legge delega per la riforma del diritto fallimentare, approvata in prima lettura alla Camera e calendarizzata al Senato alla ripresa dei lavori, detta principi e criteri per uniformare la disciplina e assoggettare ogni categoria di debitore al nuovo modello di accertamento dello stato di crisi ed insolvenza.

Lunedì scorso il governo ha varato un provvedimento che era invece molto atteso dall’avvocatura, il ddl sull’equo compenso.

Mi permetta di ribaltare anche un po’ l’assunto implicito nella sua domanda: con il ddl sull’equo compenso credo sia stato rispettato un altro impegno assunto nei confronti dell’avvocatura, alla quale viene offerto un ulteriore strumento per salvaguardare la dignità della professione. Si tratta di un intervento che può essere anche letto in un’ottica complementare rispetto a quella pro concorrenziale, in quanto pone rimedio alle possibili situazioni di squilibrio nei rapporti contrattuali tra professionisti e clienti forti, che hanno ricadute negative sulla quantificazione del compenso spettante all’avvocato. Vorrei tirare le somme dei discorsi finora affrontati.

Prego.

Le misure adottate nel corso di questi anni intendono migliorare le condizioni di lavoro della classe forense con norme molto evolute, affinché l’avvocatura possa esprimere al meglio la sua professionalità e porsi come interlocutrice sempre più qualificata nella costruzione di un servizio giustizia moderno ed efficiente. Il governo ritiene di essersi mosso con coerenza in questa direzione.