PHOTO
Non c’è solo il Beccaria. E non ci sono solo le polemiche di giornata legate al Dl Rave. Il carcere si rivela di giorno in giorno un impegno gravoso per la maggioranza, assai più di quanto i programmi lasciassero intravedere.
Inevitabile che sia così: in realtà l’esecuzione penale è stata un peso soffocante persino per un ministro come Alfonso Bonafede, che aveva idee fin troppo chiare su come trattare la materia. Eppure l’ex guardasigilli pentastellato, quando - sollecitato da umanissimo buonsenso - provvide a consentire il differimento dell’esecuzione per ragioni umanitarie anche per quei reclusi che, condannati per mafia, rischiavano di morire di covid se lasciati in cella, ebbene persino lui, Bonafede, fu fatto passare da parte della stampa italiana come un fiancheggiatore dei boss...
Ciò detto, sono ora sul tavolo diverse ipotesi. Ieri in un’intervista al Giornale un’altra figura chiave della maggioranza sulla giustizia, Andrea Delmastro, sottosegretario e prima linea di FdI, ha indicato alcune possibili scelte interessanti in materia di esecuzione penale: dal sovraffollamento contrastato anche attraverso l’assegnazione, per i detenuti con problemi di tossicodipendenza, alle comunità di recupero, alle più problematiche intese con i Paesi d’origine per i reclusi stranieri fino all’auspicabile riforma della custodia cautelare, «oggi in Italia smodata, a volte anche a fini snaturati rispetto all’esigenza di sicurezza», vale a dire «per ottenere una confessione».
Il titolare di via Arenula, Carlo Nordio, ritiene altrettanto importante che la via carceraria non sia l’unica forma da conferire all’idea di certezza della pena. È quanto afferma la riforma Cartabia, appena ricalibrata da decreto Rave, che oggi otterrà a Montecitorio la decisiva fiducia. Uno snodo importante consisterà nelle scelte che la maggioranza compirà sul provvedimento dell’ex ministra a bocce ferme, dopo che, di qui a due giorni, sarà finalmente in vigore: lasciarla così com’è o limitare alcune, pur non clamorose, concessioni alle pene extracarcerarie. E nel caso, fino a che punto modificare i parametri di efficienza del sistema penale e carcerario stabiliti in quella riforma in vista dl Pnrr.
Non è finita qui. C’è l’ergastolo ostativo. Reso ancora più stringente con le modifiche introdotte dalla maggioranza durante la conversione del Dl Rave a Palazzo Madama. Ora l’ergastolano non collaborante che aspiri alla liberazione condizionale deve anche spiegare perché ha scelto di non parlare con i pm, e certificare il proprio ravvedimento. In realtà, già il testo fatto proprio a fine ottobre dal Consiglio dei ministri (e recuperato, con poche variazioni, dall’articolato passato a Montecitorio nella legislatura precedente) era severissimo, con qualche sfumatura a rischio costituzionalità.
La Consulta, con l’ordinanza dell’ 8 novembre, ha rimesso il provvedimento al giudice che aveva sollevato la questione di legittimità sul fine pena mai. Quel giudice è un magistrato della Cassazione penale, si chiama Giuseppe Santalucia ed è per, inciso, pure il capo dell’Anm. Sarà lui ora a doversi pronunciare sull’adeguatezza e la costituzionalità, delle nuove norme, così come stanno per essere convertite in legge dal Parlamento. Sarà il primo a valutare se il nuovo ergastolo supera i problemi di legittimità che lui, Santalucia, aveva rimesso alla Corte. Dopodiché la Corte stessa deciderà sugli atti del magistrato. E potrebbe appunto ravvisare altri profili critici, dichiarare le nuove norme parzialmente illegittime. Con eventuali contromosse, da parte della maggioranza, sul fronte delle mai accantonate ipotesi di modifica dell’articolo 27.
In tutto questo, prima di Natale, la massima istituzione dell’avvocatura - il Cnf - e il Garante dei detenuti hanno diffuso un appello congiunto affinché il governo si affidi, per arginare la strage dei suicidi in cella, anche alle pene extracarcerarie, in una forma possibilmente più ampia rispetto al testo Cartabia, cioè sostanzialmente ispirata alla vecchia riforma Orlando. Nordio tiene in conto gli avvocati e ha più volte detto che ai tavoli sulla giustizia saranno sempre presenti, insieme con la magistratura. Il punto è capire con quale ordine di priorità, su una materia complicata come il carcere, si presenteranno il governo e la maggioranza, prima ancora che i protagonisti della giurisdizione.
L’equilibrio non sarà facile. Ma le parole di Delmastro e gli impegni sempre ribaditi dal guardasigilli sembrano far comprendere come, nel governo e nell’alleanza che lo sostiene, la gravità della questione penitenziaria abbia messo in moto un opportuno attivismo. E che il carcere potrebbe uscire dal cono di invisibilità in cui si rischia sempre di vederlo ritornare.