L’nnesima spallata al Caso Consip arriva dalla Cassazione. Sono state depositate le motivazioni della sentenza di annullamento con rinvio dell’ordinanza di arresto di Alfredo Romeo, il presunto corruttore da cui partì l’indagine, e i giudici impongono una decisa battuta d’arresto all’asse su cui poggia l’intero impianto probatorio.

Le intercettazioni ambientali sono state «particolarmente invasive» e disposte sulla base di un reato ( concorso esterno in associazione camorristica) che non è lo stesso ( la corruzione), per cui Romeo è stato arrestato. Ergo, la Cassazione dubita della «sussistenza dei presupposti di legittimità delle intercettazioni ambientali».

E in merito all’utilizzo del virus spia Trojan Horse non sono stati adeguatamente motivati i presupposti per l’utilizzabilità, anche perchè non è chiaro in cosa si concretizzi il «metodo corruttivo» del cosiddetto “sistema Romeo”. E, se il Riesame escluderà queste intercettazioni, verranno stralciate anche le conversazioni che tirano in ballo Tiziano Renzi.  Una motivazione di Cassazione mina l’impianto probatorio del caso Consip ed è difficile dire che cosa rimarrà in piedi, dopo la sentenza del Tribunale del Rinvio attesa entro dieci giorni.

Ad innescare il tutto è l’indagato dal quale partì l’inchiesta. Altfedo Romeo, presunto corruttore che puntava al cuore della Centrale acquisti della pubblica amministrazione, presenta ricorso in Cassazione contro l’ordinanza di arresto, che la Suprema Corte annulla con rinvio in giugno. Lunedì, al deposito delle motivazioni della sentenza di annullamento, però i giudici del Palazzaccio assestano la vera spallata all’impianto dell’indagine Consip: non si limitano a stabilire l’infondatezza della misura cautelare di Romeo, ma censurano pesantemente la condotta processuale dei pm napoletani John Woodcock e Celeste Cardano.

INTERCETTAZIONI

L’indagine poggia su intercettazioni di ogni genere, sia ambientali che effettuate con i Trojan Horse, virus spia che si installano negli apparecchi elettronici degli indagati, i quali diventano dei trasmettitori di informazioni agli inquirenti. La Cassazione ha stabilito che le intercettazioni ambientali «particolarmente invasive» effettuate nella sede romana della società di Romeo, non avrebbero dovuto avvenire, perché l’appartamento era anche sua abitazione personale e solleva dubbi in merito alla «sussistenza dei presupposti di legittimità delle intercettazioni ambientali».

TROJAN HORSE

Non solo, però: l’arresto di Romeo è stato motivato con l’utilizzo di intercettazioni mediante i Trojan Horse. Tali strumenti presuppongono l’ipotesi di reati di criminalità organizzata o aggravati dall’associazione mafiosa, ma l’arresto disposto dalla procura di Roma era stato chiesto per il reato di corruzione. Dunque, la Cassazione ha sollevato dubbi sull’utilizzabilità di intercettazioni così invasive che - secondo i legali di Romeo - sono state disposte in mancanza di un quadro indiziario che le giustificasse. La sesta Sezione, nel rinviare il nuovo giudizio al Tribunale del Riesame, invita i giudici a svolgere una serie di verifiche «già richieste ma non effettuate», sulla legittimità delle intercettazioni che sono state utilizzate dal Gip per motivare l’ordinanza di arresto di Romeo.

L’UTILIZZABILITÀ

La Corte, però, non si spinge a de- cidere sull’utilizzabilità delle intercettazioni, a si limita a rimandare al Tribunale del Riesame la valutazione, sottolineando come la decisione debba essere meglio «motivata», soprattutto in relazione alla ragioni del rigetto delle eccezioni sollevate dagli avvocati di Romeo. I legali, cui la sentenza di annullamento con rinvio ha dato ragione sull’ illegittimità dell’arresto di Romeo, chiederanno al tribunale del Riesame di disporre la distruzione delle intercettazioni.

“METODO ROMEO”

A scricchiolare, però, è l’intero impianto accusatorio fondato su un “metodo Romeo”, cuore dell’inchiesta Consip e nel quale - secondo i pm napoletani - sarebbero invischiati anche l’ex manager Consip Marco Gasparri e, di riflesso, Carlo Russo e Tiziano Renzi. Infatti, scrive la Cassazione, «non si comprende nell’odinanza impugnata ( di arresto di Romeo ndr) di quali contenuti operativi consista e in quali forme e modalità concrete si inveri il metodo o il sistema di gestione dell’attività imprenditoriale da parte del Romeo, cui si fa riferimento per giustificare l’ipotizzato esercizio di capacità di infiltrazione corruttiva in forme massive nel settore delle pubbliche commesse». In sostanza, la Cassazione solleva dubbi sull’esistenza stessa di un “metodo Romeo”, che giustifichi un’ipotesi criminosa associativa e non di semplice corruzione.

E TIZIANO RENZI?

Le motivazioni di Cassazione, però, rischiano di travolgere anche il filone di indagine che vede indagati il padre di Matteo Renzi, Tiziano, e l’imprenditore Carlo Russo. E’ proprio attraverso le intercettazioni delle quali la Cassazione ipotizza l’illegittimità e dunque la non utilizzabilità, infatti, che il nome di Tiziano Renzi entra nell’inchiesta. Grazie alle captazioni con i Trojan Horse sul telefono di Romeo, infatti, gli inquirenti hanno ascoltato le conversazioni tra lui e Russo ( amico di Tiziano Renzi) nelle quali avrebbe cercato di avvicinare il padre dell’allora Presidente del consiglio, nel tentativo di ottenere favori negli appalti Consip. Quindi, se il tribunale del Riesame disponesse l’illegittimità di queste intercettazioni e dunque la loro nullità processuale, verrebbe a cadere il principale tassello accusatorio nei confronti di Tiziano Renzi, contro cui rimarrebbero agli atti solo i “pizzini” trovati nella spazzatura di Romeo, con scritto «30 mila euro per T.». Troppo poco, forse, per sostanziare un’inchiesta che è arrivata a lambire palazzo Chigi.