È finita l’esperienza di Piercamillo Davigo al Csm. Al termine di un dibattito durato diverse ore, ieri pomeriggio il plenum ha votato la decadenza da consigliere superiore dell’ex pm di Mani pulite. A favore dell’uscita di scena si sono pronunciati i componenti del comitato di presidenza di Palazzo dei Marescialli, vale a dire il vicepresidente del Csm David Ermini, il primo presidente e il pg della Cassazione, Pietro Curzio e Giovanni Salvi. No al prosieguo del mandato, con una certa sorpresa, anche da parte dell’“indipendente” ( ma eletto col sostegno del gruppo davighiano) Nino Di Matteo, dai 3 di Magistratura indipendente Loredana Micciché, Paola Braggion e Antonio D’Amato, dai 2 di Unicost Conchita Grillo e Michele Ciambellini, e dai laici Filippo Donati ( indicato dal M5S), Emanuele Basile ( Lega), Alessio Lanzi e Michele Cerabona ( FI). Alla fine si sono schierati, senza successo, per la permanenza di Davigo solo 2 dei 5 consiglieri di Area, Alessandra Dal Moro ed Elisabetta Chinaglia, uniche altre togate oltre ai 3 rappresentanti della davighiana Autonomia e indipendenza, ovvero Sebastiano Ardita, Ilaria Pepe e Giuseppe Marra. Tra i laici, il solo che abbia votato perché Davigo restasse in plenum è stato Fulvio Gigliotti ( indicato dal M5S). Si sono invece astenuti Stefano Cavanna ( Lega) e Alberto Maria Benedetti ( M5S), così come gli altri 3 togati di Area Giuseppe Cascini, Giovanni Zaccaro e Mario Suriano.

Un esito che nessuno si aspettava, alla luce della forte campagna d’opinione portata avanti in questi mesi a favore della permanenza di Davigo al Csm anche dopo la sua entrata in quiescenza, formalizzata ieri dalla delibera approvata pochi minuti prima del dibattito sul prosieguo del mandato. Chissà perché fino all’ora fatidica del plenum non era balenata in modo così nitido la volontà di attenersi alla Costituzione. Difficile spiegarlo se non con il peso che hanno avuto, prima e durante la discussione consiliare, i vertici dello stesso organo di autogoverno. Saranno risuonate anche nella testa di possibili “indecisi” parole come quelle del presidente della Suprema corte, Curzio: «Il pensionamento fa venire meno lo status di magistrato, quindi anche le funzioni di componente del Csm. Ne ho parlato anche in comitato di presidenza» , ha spiegato in modo molto trasparente Curzio, «e ho trovato conferma in questa mia conclusione. Ne ho parlato anche con Davigo, per la chiarezza che ha sempre contraddistinto i nostri rapporti. È stato un onore essere suo collega, aver lavorato con lui, ma gli argomenti per la decadenza sono più convincenti». Anche il pg Salvi ha parlato di una «necessità derivante da principi costituzionali: a far parte del Csm non possono che essere magistrati in servizio». Fino all’intervento di Ermini, secondo il quale «la Costituzione ci impone di rinunciare all’apporto che Piercamillo Davigo, magistrato eccezionale, potrebbe ancora dare al Consiglio superiore». Va dato atto al vicepresidente del Csm di aver speso parole forti per l’ex pm del Pool, a proposito delle sue «qualità», della «intransigente onestà intellettuale», dell’ «assoluta indipendenza di giudizio» e «inattaccabile libertà morale», che «hanno connotato il percorso di un magistrato eccezionale» e la sua «esemplare carriera». A Davigo, ha aggiunto Ermini, «mi lega ora un’amicizia per me preziosa e irrinunciabile», ma «tuttavia, nella vita, ci sono momenti in cui chi è chiamato a compiti di responsabilità istituzionale deve assumere decisioni dolorose».

Del no pronunciato da Di Matteo al prosieguo del mandato, resterà tra l’altro un’osservazione non sentita spesso, nel dibattito degli ultimi giorni: «L’appartenenza all’ordine giudiziario è condizione imprescindibile per l’organo di autogoverno», che è «per due terzi composto da magistrati: il rapporto predeterminato tra laici e togati è una regola sancita dalla Costituzione», ha detto Di Matteo. La permanenza di Davigo al Csm dopo il suo collocamento in pensione violerebbe dunque, ha sostenuto il pm antimafia, «la ratio e lo spirito delle norme costituzionali». Di Matteo ha comunque parlato di una decisione «presa con grande dolore» per la stima nei confronti del collega che «lascerà un segno nella storia recente della magistratura italiana».

Con l’uscita di Davigo cambiano i rapporti di forza al Csm, contraddistinti finora da una maggioranza imperniata sull’alleanza fra Area e davighiani. Il posto dell’ex pm di Mani pulite ( che compie oggi 70 anni) sarà preso dal giudice di Cassazione Carmelo Celentano, di Unicost. Difficile dire, almeno per questo, che l’uscita di Davigo dal Csm non produca conseguenze politiche.