Si è aperto ieri a Siena, alla presenza del capo dello Stato Sergio Mattarella, il 33esimo congresso nazionale dell’Anm. “La giustizia, i diritti e le nuove sfide” è il titolo scelto per un incontro che cade in una fase segnata da forti attriti all’interno della magistratura associata e culminato con l’uscita dalla giunta unitaria, a causa del disaccordo sui criteri nelle nomine dei capi degli uffici compiute dal Csm, del gruppo di Autonomia & Indipendenza, che sul punto ha indetto una consultazione online fra tutti i magistrati italiani. Obiettivo del “referendum informale” avviato dalla corrente di Piercamillo Davigo: cancellare l’attuale Testo unico della dirigenza e prevedere un ritorno al parametro dell’anzianità, eliminato dalla riforma del 2006 con cui si decise di puntare in via prioritaria sull’attitudine e sul merito per la scelta dei vertici degli uffici.

ALBAMONTE: STOP NOTIZIE AL VELENO

I lavori sono stati aperti dalla relazione del presidente dell’Anm Eugenio Albamonte che, dopo aver illustrato i temi principali del congresso (reclutamento e formazione dei magistrati, analisi dell’Ordinamento giudiziario, riforme, rapporti tra giustizia, politica e informazione, l’associazionismo in magistratura, ruolo e garanzie di indipendenza del pubblico ministero), ha fornito un quadro esaustivo sullo stato della magistratura italiana, in questi anni oggetto di un ricambio generazionale senza precedenti. Le toghe, per Albamonte, «in mancanza di provvedimenti legislativi hanno accentuato il ruolo di supplenza in materia di diritti e temi etici, come il fine vita o la stepchild adoption: su questi aspetti», ha chiarito il presidente dell’Anm, «la magistratura intende discutere senza voler dettare l’agenda alla politica». Un dato, però, fa riflettere, ha aggiunto Albamonte: «Solo il 38% dei cittadini ha fiducia nella magistratura. Dal 2010 a oggi, si registra una flessione del 12%. Ciò, oltre ad indebolire la democrazia, danneggia l’immagine della nazione all’estero». Le ragioni di questo tracollo? «Sono da far risalire nei tempi di definizione dei processi penali e civili che non dipendono dalla scarsa laboriosità dei magistrati ma dalla crescente domanda di giustizia e, nel settore penale, dalla sovrapproduzione di norme che individuano sempre nuovi reati. Una seria depenalizzazione è inevitabile, oltre ad una riforma dei riti, ormai farraginosi e di difficile gestione». Nel settore civile, invece, urge «restituire razionalità e funzionalità, rendendo pienamente efficiente il processo civile telematico», ha aggiunto il vertice del “sindacato” dei magistrati. «La carenza di risorse ha avuto ricadute sull’allungamento dei processi. Solo nell’ultima legislatura si è assistito ad un cambio di rotta sia con il completamento della pianta organica, con gli ultimi concorsi dei magistrati, che con le assunzioni di operatori amministrativi». Aspetto sul quale si è incentrato anche l’intervento di saluto del ministro Andrea Orlando, che ha rivendicato quanto fatto dall’esecutivo.

Un invito, poi, da parte del presidente dell’Anm agli avvocati ad accantonare i «temi corporativi» ( separazione delle carriere e la discrezionalità dell’azione penale) e a restare disponibili a un confronto «per proposte di riforme condivise» visto che «solo una giustizia più efficiente può restituire legittimazione e prestigio a entrambe le categorie». Sul fronte della comunicazione giudiziaria sarebbe necessario «copiare quanto fatto in altri Paesi europei, che hanno istituito uffici stampa per rendere più fruibili le notizie, evitando iniziative di disinformazione messe in campo per ignoranza o con malizia». A minare la fiducia nella giustizia, anche «la conflittualità tra magistratura e politica, che talvolta sfiora la delegittimazione: la politica prenda atto della questione morale predisponendo gli antidoti nella fase della selezione della classe dirigente, assumendo decisioni anche a prescindere dalle iniziative giudiziarie». Ma la magistratura, ha detto Albamonte in uno dei passaggi più delicati del suo intervento, deve rimanere «ancorata al profilo della responsabilità giudiziaria, che è sempre personale, senza indulgere nella tentazione di farsi tribunale morale e sociale». Va restituita, infine, «centralità al giudizio», «senza enfatizzare le indagini preliminari». Un riferimento del presidente Anm è andato anche al tema scottante degli incarichi direttivi: «Prima delle riforma del 2006», ha detto, erano un «vitalizio» ; ora, «con la temporaneità delle funzioni, non è più così». La chiusura è stata dedicata alle giovani generazioni che «devono riscoprire i valori dell’associazionismo, che non è corporativismo ma riscoperta dell’identità culturale del magistrato».

L’ALLARME DI CILENTI: SI RISCHIA UNA DERIVA IMPIEGATIZIA

E proprio sulle giovani generazione si è incentrato l’intervento successivo, quello del segretario generale Edoardo Cilenti. Con una analisi sul reclutamento e formazione dei magistrati: «La riforma del 2006 puntava ad alzare il livello di preparazione delle toghe. Dal concorso di primo livello, subito dopo la laurea, si è passati ad un concorso di secondo livello, dove bisogna svolgere un percorso post universitario. L’età di ingresso si è alzata, passando dai 26- 28 anni ai 33- 35. Con punte che superano i 40 anni». E l’età avanzata è un problema che Cilenti riassume in una «minore disponibilità alla mobilità sul territorio, inevitabile all’inizio della carriera e difficile da gestire quando si ha già una famiglia. Aver fatto altri lavori», inoltre, «condiziona l’approccio alla professione, in particolare il confronto con i vertici. Il rischio», secondo Cilenti, «è la deriva impiegatizia del posto tranquillo con lo stipendio sicuro». Ma l’attacco più duro del segretario è alle Scuole di specialità che, «essendo costose», danno «la sgradevole sensazione che la selezione avvenga per censo: i più brillanti abbandonano per fare altro e il livello si abbassa. Le Scuole di specializzazione hanno fallito il compito. O cambiano o chiudono», ha dichiarato Cilenti. «La soluzione? Il ritorno al concorso subito dopo la laurea, potenziando il tirocinio».

CASSANO: IL PROCESSO MEDIATICO GENERA MOSTRI

Di grande interesse, tra gli altri, anche l’intervento della presidente della Corte d’appello di Firenze Margherita Cassano: «Esiste una stretta connessione tra aspettative di giustizia, mutata percezione del tempo conseguente all’utilizzo delle nuove forme di comunicazione tramite internet e reti, diritto all’informazione, modalità e tempi della risposta giudiziale», ha innanzitutto ricordato Cassano. Che ha fatto notare come «in campo penale, la realizzazione della ragionevole durata del processo» serva innanzitutto a «recuperare la centralità del dibattimento» e a «restituire alle indagini preliminari la loro funzione di elaborazione dell’ipotesi di accusa da sottoporre alla verifica giudiziale nel contraddittorio fra le parti». Vanno scongiurate «improprie forme di supplenza da parte degli organi di informazione mediante la celebrazione di pseudo processi mediatici che, oltre ad alimentare una morbosa ed esasperata attenzione verso i fatti di cronaca più clamorosi», avverte la presidente della Corte d’appello di Firenze, «calpestano la presunzione costituzionale di non colpevolezza creando dei veri e propri “mostri mediatici”». Parole che promettono di segnare anche il prosieguo dei lavori, fino alla conclusione di domani.