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Il decreto legge sulle intercettazioni pone le sue basi sulla «necessità di tutelare meglio la privacy» ma tale obiettivo «è stato perseguito con un significativo aggravio dell’attività del pm». È uno dei punti critici sollevati dal togato del Csm, Giuseppe Marra, presidente della Sesta Commissione, illustrando in plenum il parere - di cui è relatore assieme al collega Nino Di Matteo - approvato a larga maggioranza in plenum, con il quale si pongono rilievi sul provvedimento approvato dal Governo in dicembre (ora al vaglio parlamentare per la sua conversione) e si sollecita il rinvio dell’entrata in vigore delle nuove norme, prevista per il primo marzo. Ci sono, sottolinea il consigliere Marra, «dubbi interpretativi su alcune disposizioni», «difetti di coordinamento con altre norme» e «incongruenze che renderanno non facile nell’immediato applicare la nuova disciplina». Il «rischio», inoltre, è che «gli uffici giudiziari - ha osservato ancora il togato di A&I - non siano ancora pronti dal punto di vista tecnico-organizzativo a far partire la nuova disciplina che vede l’istituzione di un archivio digitale dove andrà riversato tutto il materiale delle intercettazioni». L’obiettivo della riforma, ossia «evitare che vengano rese pubbliche conversazioni riportanti espressioni lesive della reputazione delle persone o quelle che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge», è «certamente condivisibile», ha rilevato Di Matteo, correlatore del parere, «ma sembra che per conseguire quell’obiettivo vengano sacrificate esigenze connesse, da una parte all’efficacia dell’indagine, dall’altra alla conservazione della prova pur acquisita legittimamente e perfino al concreto e pieno esercizio del diritto di difesa di indagini e imputati». Il parere è stato approvato con 14 voti a favore e 3 astensioni.