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Due giorni fa, il garante campano dei diritti delle persone private della libertà personale, Samuele Ciambriello, ha visitato il carcere minorile di Nisida a Napoli. Durante la visita, il garante ha incontrato anche il magistrato di sorveglianza dei minori, Margherita di Giglio, che si trovava nell'istituto per svolgere colloqui con i giovani detenuti. All'interno del carcere di Nisida erano presenti 71 ragazzi, di cui 22 stranieri, provenienti in gran parte da Tunisia, Marocco ed Egitto, e 7 a lavoro in articolo 21. È emerso, inoltre, che solo 18 dei 71 detenuti hanno una condanna definitiva e che nell’istituto ci sono 7 educatori. In Italia, sono 555 i giovani detenuti nei 15 istituti penali per minorenni.
«È cambiata l'utenza delle carceri minorili – ha dichiarato Ciambriello – e questa nuova utenza ha bisogno di psichiatri a tempo pieno, psicologi e, soprattutto, di un Serd di riferimento fisso, interno. C'è bisogno di una vera e propria presa in carico. Le continue risse, i gesti di autolesionismo richiedono personale qualificato, specializzato, aggiornato e rimotivato.
Il rischio è che molti giovani che entrano con problemi di tossicodipendenza, di separatezza affettiva, di disagio psichico, in carcere rischiano di accumulare ulteriori reati. Pur entrando per un piccolo reato, rischiano di aggravare la pena in carcere». Occorre soffermarsi, in particolare, su un allarme lanciato dal garante, ossia che i giovani, proprio dentro l’istituto, rischiano di sporcare ulteriormente il loro casellario giudiziale. «Questi ragazzi – spiega ancora a Il Dubbio – si rendono protagonisti di risse, spaccio e uso di droga. Alcuni, con una scusa, si fanno portare in infermeria, sottraggono l’alcol e poi lo mettono dentro la Coca-Cola per sballarsi. Altri, a soli 16 anni, sono già giovani padri che in alcuni casi hanno perso la potestà genitoriale e soffrono per questo.
Non si tratta più principalmente di figli di camorristi, ma di ragazzi, molti dei quali stranieri, che, abituati nel loro Paese d’origine a picchiare o essere picchiati, replicano quei gesti. E si rovinano la vita. Insomma, all’interno di questi istituti c’è molto disagio che non si può risolvere costruendo nuovi istituti, ma implementando le risorse umane a disposizione di questi giovani reclusi». In sintesi, quanto descritto dalla fortunata serie Mare Fuori non sembra essere molto distante dalla realtà. Ciambriello ha concluso: «Con il decreto Caivano si è giunti all’introduzione di nuove fattispecie di reato, all’innalzamento della durata delle pene detentive e all’inasprimento dell’applicazione di misure cautelari, anche per reati di minore entità.
Per non parlare del fatto che con le disposizioni di questo decreto il Direttore dell’Istituto penale per minorenni ha maggiore facilità a richiedere al Magistrato di Sorveglianza il nulla osta per il trasferimento in un Istituto per adulti, qualora il detenuto abbia compiuto 21 anni di età e con i suoi comportamenti abbia compromesso la sicurezza e turbato l’ordine dell’istituto. Quando ciò accade, come sta succedendo in tutta Italia e negli istituti campani, è da considerarsi un fallimento collettivo».