È accertato che c’è stato un oggettivo ritardo nel soccorrere il detenuto Salvatore Piscitelli, ma non è possibile effettuare un giudizio prognostico in termini di concrete probabilità di sopravvivenza se i soccorsi si fossero attivati con maggiore tempestività. Questo, in sostanza, è una delle principali motivazioni della richiesta di archiviazione da parte dei pm della procura di Ascoli Piceno. A due anni dalle rivolte carcerarie nelle quali hanno perso la vita tredici detenuti in tutt'Italia, oltre alla morte di otto detenuti avvenute nella casa circondariale di Sant'Anna, ora giunge la richiesta di archiviazione anche per il decesso di Salvatore Piscitelli. Il 40enne trasferito nel carcere di Ascoli Piceno dove morì e proprio per questo cinque detenuti hanno presentato un esposto, nel quale si denuncia anche l'omissione di soccorso nei suoi confronti.

Per Simona Filippi, avvocata di Antigone, andava curato in ospedale

Secondo l’avvocata di Antigone Simona Filippi - che si opporrà anche a questa richiesta di archiviazione - il problema principale consiste nel fatto che una persona in overdose non va trasferita in carcere, ma subito curata in ospedale. Oppure, visto che si era appreso il giorno stesso della rivolta che alcuni detenuti avevano ingerito elevate dosi di metadone, ci sarebbe dovuta essere una segnalazione che raccomandasse un accurato monitoraggio di quelli trasferiti. Nel caso di Piscitelli si aggiungerebbe un aggravante: nonostante la richiesta di aiuto da parte del suo compagno di cella, avvenuto intorno alle 8,30 del 9 marzo 2020, la chiamata al 118 è stata effettuata intorno solo alle 12,47.

Per la procura di Ascoli Piceno non vi sono elementi per le ipotesi di reato

Ma per la procura di Ascoli Piceno, non vi sono elementi per sostenere l’accusa per entrambe le ipotesi di reato: il ritardo nella richiesta di soccorsi e l’ipotesi di cessione al detenuto durante le fasi della rivolta nel carcere modenese di quantitativi di metadone che poi ne causavano la morte. Partiamo dalla prima ipotesi, per la quale secondo i procuratori non si rivelerebbero elementi di reato. Nella richiesta di archiviazione, la procura ritiene che i profili di colpa a carico dell’appartenente alla polizia penitenziaria in relazione alla mancata tempestiva attivazione della assistenza sanitaria di fronte alla richiesta del detenuto Truzzi, compagno di cella di Piscitelli, avvenuta intorno alle 8,30/8,40 (orario ritenuto attendibile dai pm stessi), vanno inseriti nell’ambito di «una situazione emergenziale creatasi presso la casa Circondariale di Ascoli con l’improvviso e imprevisto arrivo in piena notte di 43 detenuti provenienti dal carcere di Modena, ove vi era stata una rivolta, e con i margini di incertezza circa la gravità della situazione del detenuto come percepita dall’Ispettore». La procura ci tiene a sottolineare che Piscitelli, all’atto della visita in ingresso al carcere di Ascoli di Piceno dove è stato trasferito nella notte, non avrebbe dichiarato al sanitario di aver assunto metadone durante le fasi della rivolta nel carcere di Modena. Nella notte, però, cominciava a sentirsi male. Il suo compagno di cella ha testimoniato che Piscitelli non si muoveva dal letto, non dava alcun segno alle sue sollecitazioni. Com’è detto, intorno alle 8,30, ha chiesto aiuto. Dopodiché, si legge nella ricostruzione della procura ascolana, alla successiva sollecitazione di soccorsi effettuata circa un’ora dopo da un altro detenuto che aveva sostituito Truzzi nella cella 52, dove si trovava il Piscitelli, «il personale della Polizia penitenziaria chiamava i sanitari del carcere che intervenivano».

Il 118 non è stato chiamato subito, prima gli è stato somministrato un medicinale

Come è stato effettuato l’intervento? Non chiamando subito il 118, ma somministrando il Narcan (medicinale contro l’intossicazione da metadone) e con una attesa di circa 20 minuti per verificare l’effetto. «Riscontrato il mancato effetto del Narcan – si legge nella richiesta di archiviazione - il medico tornava nel suo studio per chiamare il 118, fermandosi prima dal detenuto Seme anch’egli in situazione critica per probabile assunzione di sostanze durante la rivolta a Modena (e che poi veniva trasferito in ospedale e salvato); la chiamata al 118 avveniva alle 12,47 per entrambi i detenuti: Piscitelli e Seme». L’orario della somministrazione del medicinale, secondo la stessa procura, è intorno alle 10,30 - 11. Gli effetti per capirne l’efficacia o meno, com’è detto, si sarebbero visti dopo 20 minuti. Quindi, si legge nella richiesta di archiviazione, dopo la somministrazione del Narcan e la constatazione della sua inefficacia, «si era concretizzata una situazione clinica che richiedeva l’intervento urgente del 118 e il ricovero». Da quel momento alla effettiva chiamata al 118 invece trascorrono circa due ore (nelle quali - come accennato - il medico si è allontanato dalla cella n, 52 per recarsi presso il proprio studio per chiamare il 118 e nel tragitto si è anche occupato del detenuto Seme, chiedendo poi l’intervento due ambulanze). Ed è tale ritardo che aveva concretizzato l’ipotesi di colpa nella condotta del medico.

Per i pm c’è il dubbio sul nesso causale tra soccorsi in ritardo e la morte di Salvatore Piscitelli

Ma la procura, scrive nero su bianco che su questi dati «si innesca il dubbio non risolvibile sul nesso causale tenuto conto delle cause della morte e del documentato andamento clinico: l’anticipazione dei soccorsi anche di due ore avrebbe garantito soltanto delle possibilità di sopravvivenza (e ciò non basta per riconoscere la sussistenza del nesso causale ipoteticamente ricostruito tra decesso e condotte doverose omesse) ma non concrete ed effettive probabilità di sopravvivenza, essendo la situazione del detenuto compromessa». In realtà, la procura prende spunto dalla consulenza medico legale collegiale. I medici scrivono che la situazione clinica di Piscitelli era grave, come dimostrato purtroppo, dalla persistenza dello stato di ipovigilanza/coma e dal decesso intervenuto poco dopo il trasporto al Pronto Soccorso dell’ospedale di Ascoli Piceno, dove il paziente è giunto «in condizioni drammatiche che non hanno lasciato spazio ad interventi assistenziali, quantunque sia stato prontamente intubato, sia stato sottoposto a terapia intensiva per contrastare l’acidosi e sostenere il circolo con amine e ad una prolungata rianimazione cardiopolmonare». Dopo la descrizione clinica di Piscitelli, i consulenti della procura concludono così: «Si individua, sulla base della ricostruzione testimoniale degli eventi relativi alla mattina del 9.03.2020, e sul dato controfattuale della registrazione della telefonata alla Centrale 118 per due detenuti delle ore 12,49, un ritardo nella richiesta dì intervento stimabile in circa 2 ore. Ritardo che, come sopra argomentato, non consente di indicare, in un quadro emergenziale e complesso quale quello di specie, che un più tempestivo intervento avrebbe evitato la morte». Parere che la procura di Ascoli Piceno recepisce e lo cristallizza nella richiesta di archiviazione. In sintesi, sembrerebbe che la morte di Piscitelli fosse inevitabile.

Diversi detenuti di Modena salvati perché portati subito in ospedale

Eppure, ricordiamo, che diversi detenuti di Modena furono salvati perché portati tempestivamente in ospedale. Altri no, e sono morti durante il trasferimento in altre carceri o dopo. Resta sullo sfondo un dato oggettivo e riconosciuto dalla procura stessa: la richiesta di aiuto da parte di un detenuto è avvenuto alle 8,30, mentre la richiesta del 118 intorno alle 12 e 45. Sono passate quattro ore. Possibile che, Piscitelli compreso, fosse inevitabile la morte dei nove detenuti? Nessuna responsabilità nella catena di comando, a partire dai trasferimenti nonostante si sapesse che diversi reclusi di Modena – durante la rivolta – avevano preso d’assalto la farmacia e ingerito elevate dosi di metadone? Nel frattempo l’avvocata Simona Filippi di Antigone ha cominciato a lavorare al ricorso alla Cedu, affinché Strasburgo faccia chiarezza sulla dinamica di questi nove morti.