«Sapevo anche io della questione perché informato da Piercamillo Davigo. Sono contento che Sebastiano Ardita sia uscito bene da questa vicenda». Sono parole che potrebbero pesare come macigni quelle pronunciate dal presidente della Commissione Antimafia Nicola Morra. Parole che certificano che la vicenda relativa ai famosi verbali di Piero Amara, l’ex avvocato esterno dell’Eni che ha svelato l’esistenza di una fantomatica loggia denominata Ungheria, non è rimasta circoscritta al Csm, ma è stata portata anche all’esterno, dove forse non era legittimo che andasse. Anche perché attualmente la procura di Roma e quella di Brescia indagano per rivelazione di segreto d’ufficio, reato per il quale i pm capitolini hanno iscritto il pm milanese Paolo Storari, ovvero colui che ha consegnato quei verbali all’ex pm di Mani Pulite. Morra, nei giorni scorsi, «ha, per le vie formali, messo a conoscenza della procura di Roma i fatti relativi alla questione Amara-Davigo di cui era a diretta conoscenza». Ma dalla sua dichiarazione ciò che emerge è che fosse consapevole della presenza, in quei verbali, del nome di Ardita, erroneamente indicato come appartenente alla fantomatica loggia “Ungheria”, composta, secondo quanto dichiarato da Amara, da magistrati, membri delle forze dell’ordine, politici e avvocati e in grado di pilotare nomine e funzioni. Ma nei verbali di Amara il ruolo di Ardita sarebbe molto più sfumato: l’ex avvocato, infatti, lo colloca ad un incontro, indicandolo come pm di Catania nel 2006, periodo in cui era già al Dap. Insomma, quanto affermato circa il consigliere del Csm non sarebbe credibile. Ma c’è di più. In quei verbali, infatti, non ci sarebbe solo il nome di Ardita, ma anche di un altro consigliere di Palazzo dei Marescialli, ovvero Marco Mancinetti, all’epoca ancora in carica e dimessosi a settembre scorso a seguito dell’azione disciplinare avviata a suo carico in merito all’affaire Palamara. Davigo parlò con diversi membri del Csm della presenza del nome di Ardita in quei verbali, tacendo, però, su Mancinetti. «Dovevo spiegare perché i rapporti con Ardita si erano interrotti», ha chiarito l’ex pm, che dunque colloca la rottura con il suo ex amico Ardita nell’aprile 2020, quando Storari gli consegnò i verbali di Amara. Ma secondo quanto riferito da fonti accreditate, la rottura, tra i due, risale a prima di marzo 2020 e, quindi, prima che Davigo entrasse in possesso dei verbali. Un nuovo mistero, dunque, nella vicenda che sta terremotando il Csm. Secondo Autonomia&Indipendenza, corrente fondata proprio dai due ex amici, la vicenda rappresenterebbe una sorta di regolamento di conti, al punto da ipotizzare un complotto ai danni di Ardita. Greco consegna la relazione Il procuratore capo di Milano Francesco Greco è stato ricevuto oggi dal procuratore di Roma, Michele Prestipino. Il capo della procura meneghina è infatti parte offesa nell'indagine a carico dell'ex segretaria di Davigo, Marcella Contrafatto, che nello spedire alla stampa i verbali di Amara avrebbe anche fatto il suo nome. Il procuratore ha intanto consegnato al procuratore generale Francesca Nanni una relazione sulla vicenda Amara. Precisando che non ci fu alcuna inerzia nelle indagini, come invece sostenuto da Storari, che per «autotutelarsi» consegnò a Davigo i verbali. Secondo la versione di Greco, la procura fece accertamenti sulle dichiarazioni di Amara, ma ciò avvenne «con prudenza e cautela». E i primi nomi iscritti nel registro degli indagati - Amara, il suo ex collaboratore Alessandro Ferraro e il suo ex socio Giuseppe Calafiore - arrivarono a maggio 2020, cinque mesi dopo il primo verbale, risalente a dicembre 2019. Storari, dal canto suo, avrebbe voluto agire subito e indagare sei persone in modo da acquisire i tabulati e disporre le intercettazioni. Ma c’è di più: secondo Greco sarebbe stato proprio Storari, consegnando quei verbali a Davigo, a danneggiare le indagini. Dopo aver aperto il fascicolo, Greco coinvolse l’aggiunto Maurizio Romanelli, con lo scopo di rinforzare la squadra, già composta da Storari e dalla collega Laura Pedio. Fino a settembre, quando decise di girare tutto a Perugia, cosa che avvenne a gennaio scorso, visto il coinvolgimento di diversi magistrati romani. Fu in quel periodo che Amara venne interrogato dai pm di Milano e Perugia insieme. La “confessione” di Storari arrivò l'8 aprile scorso, quando, indagando sulla fuga di notizie, si rese conto che i verbali recapitati ai giornalisti del Fatto quotidiano - secondo la procura di Roma dall’ex assistente di Davigo, Marcella Contrafatto - erano proprio quelli che aveva consegnato all’ex pm. E così informò Greco di quanto fatto un anno prima. Alla relazione di Greco, che «è più segreta di una indagine», ha affermato Nanni, se ne potrebbe aggiungere ora un’altra sottoscritta da Storari. Documenti che verranno trasmessi anche al pg Salvi, che dovrebbe avviare una istruttoria disciplinare. Ma non solo: Nanni potrebbe anche avocare a sé il fascicolo aperto quattro anni fa sul tentativo di depistare l'inchiesta sulla presunta maxi tangente nigeriana. La difesa di Davigo in tv Intanto Davigo si difende. E dà una spiegazione precisa del perché non abbia formalizzato le lamentele del pm Paolo Storari contri i vertici della procura con un atto formale: non mettere in pericolo le indagini. Parole che l’ex pm di Mani Pulite ha riferito giovedì sera a Piazza Pulita, su La7, ribadendo di non aver violato alcuna regola. E rispedendo le accuse al mittente - il Csm - evidenzia come nemmeno David Ermini, numero due dell’organo di autogoverno delle toghe, non abbia avviato alcuna pratica formale per definire la questione secondo le regole di Palazzo dei Marescialli. L’irruzione di Morra nella vicenda, ora, complica le cose. A che titolo è stato informato dei fatti? E soprattutto, cosa sapeva? Davigo, per smarcarsi dall’accusa di aver “rotto” il segreto dell’indagine, spiega che non si trattava di verbali, ma di «copie Word di atti di supporto alla memoria. Io gli atti originali non li ho mai visti». Quei documenti gli sarebbero stati consegnati a Milano, a casa di Storari, su una pen drive che poi a Davigo ha portato a Roma. E pur dicendosi completamente estraneo a quanto avrebbe fatto Contrafatto, spiega di aver lasciato i documenti nella sua disponibilità, qualora fossero stati richiesti dal Comitato di presidenza. La procedura seguita, ribadisce Davigo, sarebbe stata corretta. E ciò per proteggere indagini che, a dire di Storari, il procuratore Greco e la collega Pedio avrebbero tentato di rallentare. Al di là del vincolo di segretezza, ciò che viene contestato a Davigo e Storari è la mancata osservanza di procedure formali, le uniche che avrebbero risparmiato al pm milanese l’indagine e il rischio di trasferimento per incompatibilità ambientale. Dopo essersi confrontato con Storari, Davigo ha ritenuto «incompresibile la mancata iscrizione. Non si possono fare atti di indagine se non si fanno iscrizioni. E quelle cose richiedevano indagini tempestive», ha affermato. Secondo Davigo, «non si potevano seguire le vie formali: la via formale più semplice era rivolgersi al procuratore generale, il problema era che la sede era vacante. Qualunque strada formale avrebbe comportato il disvelamento di tutta la vicenda. C'era la necessità di informare i componenti del Comitato di presidenza, perché questo dicono le circolari, in maniera diretta e sicura». Ma sebbene il posto fosse effettivamente vacante, Storari avrebbe comunque potuto rivolgersi al facente funzione, ottenendo comunque lo stesso risultato. L’ex pm ha scelto così la strada dell’informalità, comunicando al Comitato di presidenza del Csm quanto da lui appreso. Robledo “smentisce” Davigo Ma la versione di Davigo, secondo Alfredo Robledo, ex procuratore aggiunto di Milano, farebbe acqua da tutte le parti. «Non è vero affatto che se avesse seguito le linee formali avrebbe disvelato» il caso, ha dichiarato a Piazza Pulita. Davigo «avrebbe dovuto consigliare» al pm Paolo Storari «di non dargli i documenti ma di andare all’ufficio di presidenza del Csm». E l’ex aggiunto non nasconde i suoi dubbi sulla credibilità di Amara: «Per chi ha un pò di mestiere è un avvelenatore di pozzi». Mentre la vicenda della loggia Ungheria «è ridicola, è una farsa. Qui c’è semplicemente un faccendiere che cerca di recuperare ricatti e denunce per trarne un profitto personale». In gioco, dunque, ci sarebbe una guerra tutta interna alla procura: «Che il problema sia la Procura di Milano è pacifico, direi che Greco è il continuatore esatto di Bruti Liberati in tutto e per tutto», ha aggiunto. Ardita: «Bufala clamorosa» Secondo Ardita, anche lui intervistato da La7, quanto contenuto nei verbali di Amara sarebbe «una bufala clamorosa, una cosa che non si può veramente sentire». E non mancano le accuse a Davigo: «Dire che non si possono seguire le vie formali è un’affermazione gravissima - ha sottolineato -. Davigo aveva tutti gli elementi per capire che questa era una bufala, di cosa doveva preoccuparsi? Questa è la cosa che mi lascia assolutamente di stucco». Ardita si è detto «sicuro che il procuratore Greco ha fatto tutto quello che si doveva fare» e ha spiegato di non conoscere l’avvocato Pietro Amara. «Ci ho parlato solo una volta, quando l’ho interrogato nel 2018», ha sottolineato. Morra invoca una riforma Morra, intanto, riflette sul ruolo della magistratura. «Recenti vicende afferenti il mondo della magistratura hanno dimostrato quanto vi sia necessità di una profonda, severa, riflessione sull'amministrazione della giustizia nel nostro paese - ha scritto su Facebook -. Ritengo pertanto che la prima riforma necessaria per restituire ai cittadini fiducia nelle istituzioni repubblicane sia, appunto, quella volta a rendere la giustizia efficace e libera, imparziale e celere».