ll Sistema Saguto esiste. A confermarlo è stata la Corte dAppello di Caltanissetta, che ha riformato parzialmente in appello la condanna inflitta in primo grado allex giudice della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, Silvana Saguto, condannata a 8 anni e 10 mesi e 15 giorni di reclusione (quattro mesi in più rispetto al primo grado), con laccusa di avere gestito in modo clientelare e illegale i beni sequestrati e confiscati alla mafia. La sentenza è arrivata dopo tre ore di camera di consiglio del collegio presieduto dal giudice Marco Sabella, al quale la procura generale aveva chiesto una condanna a 10 anni per l'ex toga. Un lungo dispositivo, quello letto dal presidente, che ha di fatto confermato la sentenza di primo grado, che aveva fatto cadere laccusa di associazione a delinquere, escluso il «depotenziamento di alcuni reati satellitari», ha commentato dopo la sentenza il procuratore generale Antonino Patti. Confermata, invece, l'accusa di corruzione: l'ex giudice avrebbe intascato una mazzetta da 20 mila, consegnata dall'avvocato Gaetano Cappellano Seminara, condannato a 7 anni e 7 mesi (un mese in più rispetto al primo grado) e considerato il re degli amministratori giudiziari, che dalla Saguto avrebbe ricevuto diversi incarichi. Confermati i 6 anni e 2 mesi inflitti in primo grado a Lorenzo Caramma, marito della giudice, mentre si riduce a quattro mesi (sei nel primo processo) la condanna inflitta al figlio Emanuele Caramma. Confermate le condanne per lex prefetto di Palermo Francesca Cannizzo (3 anni) e per lex professore dellUniversità Kore di Enna Carmelo Provenzano (sei anni e 10 mesi). Condannati anche Rosolino Nasca, direttore della Dia di Palermo (2 anni e 8 mesi), l'amministratore giudiziario Roberto Santangelo (4 anni e due mesi), Walter Virga (un anno e 4 mesi), Maria Ingrao e Calogera Manta (2 anni e 8 mesi). Un anno e dieci mesi di reclusione per il preside della facoltà di Giurisprudenza di Enna Roberto Di Maria e 2 anni e 8 mesi il tenente colonnello della Guardia di finanza, Rosolino Nasca, ex direttore della Dia di Palermo. Disposta anche una estensione delle confische: per Saguto e Seminara, ammontano, rispettivamente, a 661.272 euro e 650.172 euro. Risarcimenti anche per il ministero della Giustizia a carico di Seminara e Caramma, per complessivi 48.300 euro a testa; e per 7.850 euro a Saguto.Secondo laccusa, per anni lufficio della sezione di Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo è stato trasformato in un ufficio di collocamento, con un comportamento «predatorio» da parte degli amministratori giudiziari, recando «un danno irreparabile e incalcolabile allimmagine dellamministrazione della giustizia». Le nomine degli amministratori giudiziari dei patrimoni sequestrati e confiscati a Cosa nostra avvenivano dunque in modo clientelare, in cambio di favori e regali. Per anni, però, Saguto è stata considera unicona antimafia: finita nel mirino dei clan di Gela per i sequestri antimafia, alla fine si sarebbe rivelata al vertice di quello che per laccusa era un «sistema corruttivo permanente». Ed è proprio da Gela che è partita linchiesta che ha scoperchiato tale sistema, grazie ad una intercettazione tra il dipendente di una concessionaria dauto di Gela e un finanziere. Il terremoto giudiziario scoppiò nel settembre del 2015 e portò alla radiazione dellex icona antimafia. A commentare la sentenza è Pietro Cavallotti, una delle vittime del sistema Saguto: la sua famiglia è stata accusata di mafia e si è vista portare via tutto, imprese e abitazioni. Sequestri che, dopo otto anni, si sono rivelati illegittimi. Ma troppo tardi: le aziende sono ormai ridotte in polvere. «Vale la presunzione d'innocenza fino al terzo grado giudizio anche per lei - ha commentato Cavallotti -. Lei che ha tolto il patrimonio a persone che, diversamente da lei, sono state assolte con sentenza definitiva. Non c'è alcuna soddisfazione. Non si gioisce mai quando per qualcuno si cominciano a spalancare le porte del carcere, anche se quel qualcuno ha distrutto molte vite. Il processo Saguto è servito a salvare le apparenze, come se togliere di mezzo la Saguto (lo ricordo: considerata da tutti la punta di diamante del sistema delle misure di prevenzione) significasse avere risolto un problema che invece è generale e che va oltre gli episodi di miserabile corruzione dei quali la Saguto è accusata. Rimangono sulla carne viva delle persone i danni causati dalla Saguto e da tutti i suoi colleghi che hanno sequestrato interi patrimoni sulla base del nulla. Colleghi che, nel rispetto della legge, hanno liquidato compensi, attribuito incarichi facendo diventare ricchissimi amministratori giudiziari nominati per raccomandazione. Ma, soprattutto, rimane in piedi un sistema di regime - ha aggiunto -, illiberale che mette a repentaglio la libertà di tanti innocenti. Il caso Saguto, erroneamente definito tale dai media, non è servito a niente.Sarebbe stato doveroso parlare del cancro del sistema normativo delle misure di prevenzione. Per me la soluzione non è la giustizia penale nei tribunali. Non mi piace la giustizia penale. La soluzione è la riforma della legge in Parlamento. Bisogna intervenire per evitare altri disastri, per mettere un freno all'arbitrio dei magistrati. Per ridare agli innocenti ciò che i giudici gli hanno tolto. Questa sarebbe la vera giustizia. Il carcere della Saguto non serve a niente. Non serve a lei e non serve alla collettività».