Adesso è un giudice a dirlo: ad informare Luca Palamara dell’indagine a suo carico in corso a Perugia per corruzione per i suoi rapporti con l’imprenditore Fabrizio Centofanti non fu Riccardo Fuzio, ma «l’allora procuratore della Repubblica di Roma, dott. Giuseppe Pignatone, nel dicembre 2017». A scriverlo è il gup di Perugia Piercarlo Frabotta, nelle motivazioni della sentenza con la quale lo scorso 23 luglio ha assolto l'allora procuratore generale della Cassazione Fuzio dall'accusa di rivelazione di segreto d'ufficio al termine del processo con il rito abbreviato, reato contestato in concorso con Palamara, a sua volta prosciolto.

Secondo l’accusa, Fuzio avrebbe svelato all’ex presidente dell’Anm dell’arrivo alla procura generale della Cassazione degli atti relativi all’indagine per corruzione avviata dalla procura di Perugia, a firma dell’allora procuratore Luigi De Ficchy, aggiungendo particolari relativi agli esiti delle indagini, ovvero il pagamento dei viaggi da parte di Centofanti, di cui avrebbe usufruito Palamara, e il riferimento al coinvolgimento di Piero Amara e Giuseppe Calafiore. Elemento, questo, smentito a sua volta dal processo e che, dunque, mette in discussione anche la contestazione mossa nel troncone principale dell’inchiesta, che vede Palamara a giudizio per corruzione.

«IL SEGRETO DI PULCINELLA»

Secondo il gup «può affermarsi con certezza» che dalle conversazioni ambientali captate grazie al trojan installato sul cellulare di Palamara emerga come questi «prima» dell'incontro con Fuzio, avvenuto il 21 maggio 2019, «fosse già a conoscenza non solo delle indagini condotte dalla procura perugina circa i suoi rapporti con Centofanti ma anche del titolo di reato per il quale era stato iscritto nonché di molte circostanze» .

In base alle motivazioni della sentenza, infatti, «non vi sono dubbi che la generica notizia di un'indagine penale a Perugia concernente possibili rapporti corruttivi tra Palamara e Centofanti fosse di “dominio pubblico” quanto meno dal settembre del 2018 e che di ciò si parlasse pressoché quotidianamente tanto all'interno del Consiglio superiore quanto nell'ambiente giudiziario romano». Così, quando i due si incontrarono, Palamara aveva già «piena consapevolezza che la comunicazione della sua iscrizione nel registro degli indagati della procura di Perugia fosse arrivata al Csm».

Fu il pm Stefano Rocco Fava, in un interrogatorio del 2019, a confermare che «nel settembre 2018 iniziano ad uscire alcuni articoli di stampa e quando incontravo Palamara egli si premurava di dirmi che aveva tutte le prove dei pagamenti», a conferma della piena consapevolezza di quest’ultimo di essere sottoposto ad indagini dalla Procura di Perugia per aver ricevuto “utilità” dal Centofanti. E il pm romano Erminio Amelio, sentito a sommarie informazioni a Perugia a luglio 2020, affermò che «il fatto che Palamara fosse indagato a Perugia era il “segreto di Pulcinella”: a Roma se ne parlava ampiamente, e in occasione di quella serata ( cena di commiato di Pignatone del 9 maggio 2019, ndr), parlammo anche di questo fatto e io dissi a Palamara che doveva difendersi a fronte di quelle accuse che riteneva infondate».

Insomma, tutti sapevano, tanto che, già a settembre del 2018, il Fatto Quotidiano pubblicò in prima pagina la notizia sul «fascicolo a Perugia che imbarazza il leader di Unicost», ben prima dell’incontro con Fuzio. Secondo la sentenza, sono le intercettazioni a far emergere in «maniera cristallina» tale circostanza: «È determinante, sul punto, il citato progressivo 16 del 16.05.2019 delle ore 00.48 con Luigi Spina (all’epoca consigliere del Csm, ndr) in cui Palamara affermava espressamente che già prima dell’arresto del Centofanti, avvenuto nel febbraio 2018, l’allora procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone, nel dicembre 2017, lo aveva avvertito della emersione dall’analisi dei movimenti delle carte di credito di Fabrizio Centofanti di alcuni soggiorni pagati dall’imprenditore ed effettuati da Palamara con una donna diversa dalla coniuge».

AMARA E CENTOFANTI

Ma dalla sentenza emerge come per il giudice risulti «palesemente infondata» la contestazione a Fuzio di avere violato il segreto investigativo in relazione «al coinvolgimento di tali Amara e Calafiore nella vicenda». Infatti, il nome di Calafiore non veniva mai citato nell’informativa della Finanza del 3 maggio 2018 né nella nota del procuratore De Ficchy del 9 maggio, mentre il nome di Amara era menzionato nell’informativa solo in relazione a soggiorni dallo stesso assieme alla sua famiglia e a quella di Centofanti a Madonna di Campiglio, senza alcun coinvolgimento di Giancarlo Longo, l’ex pm al centro del “Sistema Siracusa”. Ma è anche il tenore stesso del colloquio Fuzio- Palamara a non lasciare «adito ad alcun dubbio circa il fatto che i due stessero rievocando le vicende degli arresti di Centofanti, Amara, Calafiore e Longo del febbraio 2018 e della condanna disciplinare di quest’ultimo cui aveva contribuito lo stesso consigliere Palamara, nonostante fosse a quell’epoca già chiaramente emerso il collegamento tra Centofanti e il medesimo Longo».

Un elemento importante, in quanto sono proprio Amara e Calafiore gli assi portanti dell’accusa di corruzione: secondo la procura, infatti, Palamara riceveva «da Fabrizio Centofanti le utilità per l’esercizio delle sue funzioni e dei suoi poteri» in particolare per la disponibilità dimostrata a Centofanti «di poter acquisire, anche tramite altri magistrati e appartenenti alle forze dell’ordine, a lui legati da rapporti professionali e/ o di amicizia, informazioni anche riservate sui procedimenti in corso ed in particolare, su quelli pendenti presso la Procura della Repubblica di Messina e di Roma che coinvolgevano Centofanti e gli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore; per la disponibilità di Palamara di accogliere richieste di Centofanti finalizzate ad influenzare e/ o determinare, anche per il tramite di rapporti con altri consiglieri del Consiglio superiore della magistratura e/ o di altri colleghi, le nomine e gli incarichi da parte del Consiglio medesimo e le decisioni della sezione disciplinare». Se, dunque, Palamara non chiedeva informazioni per conoscere le sorti di Amara e Calafiore, per chi lo faceva?