Il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia, avrebbe paventato nelle scorse settimane il «rischio di ricusazione dei magistrati» del processo a Luca Palamara, proponendo al Comitato direttivo centrale «la revoca della delibera Anm volta alla costituzione di parte civile nel menzionato processo, per fortuna venendo platealmente smentito da quasi tutti gli altri componenti del Comitato direttivo centrale, ivi compresi quelli della Giunta esecutiva centrale». A dirlo, in una mail che sarebbe dovuta rimanere interna al circuito di posta degli iscritti all’Associazione nazionale magistrati, è Andrea Reale, componente della corrente “Articolo 101”. Che punta il dito contro il presidente del sindacato delle toghe, reo di non voler consegnare gli elenchi degli iscritti alla difesa di Palamara, che vorrebbe verificare se i giudici che andranno a giudicarlo nel processo che lo vede imputato a Perugia per corruzione siano o meno soci dell’Associazione e, dunque, potenzialmente portatori di interessi nello stesso procedimento. Un rifiuto che cozza con il tentativo di fare un passo indietro sulla costituzione di parte civile, proprio sulla base degli stessi dubbi avanzati dall’avvocato Roberto Rampioni. Palamara si ritrova dunque a spaccare di nuovo l’Anm anche se ora da esterno all’ordine giudiziario, così com’era accaduto anche per il Csm, che ad ottobre ha votato la costituzione di parte civile con nove voti favorevoli e otto contrari, tra i quali quello di Giuseppe Cascini, di Area, che aveva sollevato dubbi, data la «stretta interferenza tra i fatti oggetto di quel processo penale e fatti sui quali il Consiglio è chiamato ad esprimere proprie valutazioni sia come organo amministrativo che come organo giurisdizionale». Insomma, un problema di terzietà che sembra convincere anche parte dell’Anm, fornendo materiale utile a Palamara per l’annunciato ricorso alla Cedu, alla quale chiederà di verificare perché nel corso del suo procedimento disciplinare «non sono stati ammessi i testimoni e se quel giudice che mi ha giudicato è un giudice terzo e imparziale». Reale, ora, denuncia la mancanza di trasparenza all’interno dell’Associazione nazionale magistrati, nonché il rischio di ledere il diritto alla difesa dello stesso Palamara, evidenziando anche una certa ipocrisia: «Da anni tutti sosteniamo la necessità che l'Anm - come anche il Csm - sia una "casa di vetro", in considerazione della funzione pubblica da noi svolta e del nostro status costituzionale - afferma Reale -. Sembra strano, invece, che la Giunta esecutiva centrale dell’Anm, e il presidente in particolare, continuino a comportarsi in modo diametralmente opposto a questo nostro onere deontologico (così come sbandierato ad ogni singolo passo)». Santalucia già a marzo era finito al centro delle polemiche per essersi rifiutato «di esibire integralmente ai componenti del comitato direttivo centrale alcuni atti giudiziari che interessavano la nostra associazione, adducendo ragioni di privacy di alcuni iscritti che neanche il giudice di Perugia ha mai ritenuto sussistenti». E nelle scorse settimane avrebbe appunto proposto la revoca della delibera di costituzione di parte civile, anche se senza successo. Oggi, invece, la Giunta e Santalucia hanno deciso di negare alla difesa di Palamara «il loro diritto di conoscere il nominativo dei magistrati iscritti all’Anm, come se quest’ultima fosse un’associazione segreta o fosse composta da sconosciuti impiegati statali». Un paradosso, dal momento che secondo lo Statuto dell’Anm uno dei requisiti per iscriversi è quello di non appartenere «ad associazioni riservate», ovvero che non consentano, tra le altre cose, «la conoscibilità dell’elenco dei soci». Santalucia aveva respinto la richiesta di Rampioni in quanto la stessa «eccede il fine a cui risponde», ovvero «l'esigenza difensiva di accertare la terzietà, l'imparzialità e l'indipendenza del Collegio del Tribunale di Perugia dinanzi al quale si svolge il processo penale contro il dottor Luca Palamara». La difesa, dal canto suo, era interessata a capire se chi dovrà giudicare l’ex magistrato appartenga o meno a quell’Associazione, ritrovandosi dunque ad occupare, eventualmente, il doppio ruolo di giudice e parte civile. Ma per il presidente dell’Anm, la richiesta, «nei termini in cui è articolata, sembra non tener conto dei criteri di proporzionalità e necessità rispetto alla finalità perseguita, a cui ogni trattamento di dati personali deve uniformarsi». Risposta che non ha convinto Rampioni, ma nemmeno Articolo 101, secondo cui il fine della richiesta è quello di valutare l’imparzialità e l’autonomia dei magistrati in ordine ad una eventuale richiesta di ricusazione da parte dell’imputato, di fatto «obliterando le medesime preoccupazioni che lo stesso Giuseppe Santalucia aveva avanzato al fine di proporre l’irricevibile proposta di ritiro dal processo - pubblico - penale per intraprendere la strada - molto più lunga e dal diverso onere probatorio, oltre che “privata” - del giudizio civile - conclude -. Ma davvero il diritto di difesa ex art. 24 Cost. è stato ritenuto recessivo rispetto alle esigenze di proporzionalità e necessità del trattamento dei dati dei magistrati (funzionari pubblici per eccellenza) iscritti all’Anm? Ma davvero dobbiamo ancora ricoprirci di ridicolo, provando ad agghindare la casa di vetro con cartoni alle finestre?».