Se la Consulta dovesse accogliere la questione di illegittimità costituzionale sollevata dalla corte d’Assise d’Appello di Torino, gli anarchici Alfredo Cospito e Anna Beniamino non rischiano più l’ergastolo per aver collocato di notte del 2 giugno 2006 (così come ritiene l’accusa con tanto esito di condanna) due ordigni nei pressi di uno degli ingressi della scuola allievi di Fossano.

Non causarono né morti né feriti. Furono condannati definitivamente per strage contro la pubblica incolumità (articolo 422 del codice penale) che prevede una pena non inferiore ai 15 anni. A luglio scorso la Cassazione ha riqualificato il reato a strage contro la sicurezza dello Stato. Parliamo dell’articolo 285 che prevede appunto l’ergastolo. Nel caso specifico ostativo. Si tratta del reato più grave del nostro ordinamento che non è stato nemmeno applicato per le stragi di Capaci e Via D’Amelio.

La corte d’Appello che avrebbe dovuto rivalutare la pena, ha accolto le questioni sollevate dalla difesa e con l’ordinanza di nove pagine, da poco depositate, la Consulta dovrà valutare se è incostituzionale l’articolo 69 comma 4 del codice penale. Nello specifico la parte che prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante. Se verrà accolta la questione, i due anarchici non rischiano più l’ergastolo, ma la pena sarà tra i venti e i ventiquattro anni.

Che la pena dell’ergastolo sia spropositata, lo dicono gli stessi giudici della corte d’Appello. A pagina 3, scrivono che «per poter apprezzare la rilevanza della questione di legittimità costituzionale che si intende sollevare con la presente ordinanza, corre l’obbligo di specificare che, a giudizio di questa corte d’Assise d’Appello, il giudizio di bilanciamento fra circostanze dovrebbe risolversi nel caso concreto riconoscendo la prevalenza della circostanza attenuante di cui trattasi rispetto alla recidiva ex art. 99 comma 4 c.p».

E ancora, a pagina 7, i giudici scrivono nero su bianco che «si tratta, infatti, di scongiurare la possibilità di precludere all’interprete la facoltà di parametrare la pena al fatto concreto, mitigando tramite l’applicazione delle circostanze attenuanti l’entità della pena inflitta all’autore del reato nei casi di minore disvalore delle sue condotte». Una preclusione che “frusta” il principio della necessaria proporzione della pena rispetto all'offensività del fatto e di assicurare I’irrogazione di una pena adeguata e proporzionata alla differente gravita del fatto-reato. Secondo la corte d’Appello di Torino, infatti, la norma censurata impedisce «in modo assoluto al giudice di affermare la prevalenza di una circostanza attenuante che, per l’appunto, disciplina i casi di lieve entità, con ciò inibendo l’applicazione degli effetti che essa mira ad attuare, in contrasto con la funzione di riequilibrio sanzionatorio di cui essa costituisce evidente espressione concreta».

Mentre si attende la decisione della Consulta, nel frattempo vige un’altra spropositata pena nei confronti di Cospito. Ovvero la reclusione al 41 bis, misura emanata dall’allora ministra della Giustizia Marta Cartabia. Per protestare contro questa misura, l’anarchico è in sciopero della fame da 77 giorni. Le sue condizioni fisiche cominciano a destare qualche preoccupazione nei medici: il peso corporeo è sceso di 35 kg e si registra una carenza di potassio nelle sue analisi. Tale carenza può compromettere il cuore.

Una misura, quella del 41 bis, nata sull’onda delle terribili stragi di mafia. Da emergenziale è diventata “ordinaria”. Con il tempo, questo carcere differenziato è stato raggiunto da altre misure afflittive. Nato con lo scopo di evitare che un boss mafioso dia ordini al proprio clan di appartenenza, sembra che si sia con il tempo trasformato in uno strumento di tortura dove lo Stato pretende la collaborazione.

Quando il tribunale di Sorveglianza di Roma ha rigettato il ricorso dei difensori di Cospito dove chiedevano la revoca del 41 bis, tra le varie motivazioni di rigetto si legge testualmente: «A fronte di questo profilo elevatissimo di pericolosità sociale, non risulta alcun segno di ravvedimento o di dissociazione del detenuto, il quale, anzi, dimostra di non aver effettuato alcun percorso di revisione critica». Eppure il 41 bis, sulla carta, non nasce per imporre una dissociazione. Se fosse così, sarebbe non solo incostituzionale ma da condanna da parte della Corte Europa di Strasburgo.

Alfredo Cospito è il primo anarchico che è recluso al 41 bis. Il motivo di questa misura resta tuttora incomprensibile. Quando era detenuto in regime AS2, l’uomo ha costantemente intrattenuto relazioni epistolari con decine o centinaia di anarchici e anarchiche, con siti e riviste della medesima matrice politica, partecipando anche alla esperienza editoriale che ha condotto alla pubblicazione di due libri sulla storia del movimento anarchico. Attività svolta alla luce del sole, in cui veniva esposto il suo pensiero anarchico e che lo ha visto, nonostante ciò, in almeno tre occasioni, destinatario di altrettante iniziative giudiziarie per il reato di istigazione a delinquere. Eppure, parliamo di un pensiero anarchico che ha, tuttavia, posto in seria difficoltà i giudici i quali, nei diversi gradi di giudizio, hanno alternato qualificazioni giuridiche contrapposte, talvolta riconducendolo alla abrogata propaganda sovversiva, ex art. 272 cp, altre all’istigazione a delinquere.

Nella precedente detenzione, Cospito riceveva libri e riviste, partecipava a dibattiti pubblici mediante contributi scritti, condivideva la sezione AS2 con imputati della medesima area politica e/ o con detenuti politici, godeva di numerose ore d’aria, palestra, biblioteca, socialità. E soprattutto non era stato sottoposto al 41 bis nonostante dal 2016, a seguito dell’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare del Gip di Torino, era stato ritenuto comunque intraneo al sodalizio anarchico denominato Fai, la cui appartenenza, nel 2022, sarà posta a fondamento del decreto ministeriale applicativo del 41 bis.

L'avvocato difensore Flavio Rossi Albertini, ha denunciato che «dall’aprile scorso e in assenza di avvenimenti che possano giustificare la diversità di trattamento penitenziario, il medesimo è privato di ogni diritto ed in particolare di leggere, studiare, informarsi su ciò che corrisponde alle sue inclinazioni e interessi, non riceve alcuna corrispondenza, quelle in entrata sono tutte trattenute e quelle in uscita soffrono dell’autocensura del detenuto stesso». Un dramma che non trova ragione. Luigi Manconi, ex senatore e presidente dell’associazione “A buon Diritto”, è intervenuto più volte sulla questione, denunciando che «si tratta in tutta evidenza, di una condizione totalmente illegale e di uno stravolgimento della lettera e del senso della legge che affida al regime di 41 bis il solo ed esclusivo scopo di impedire i legami tra il recluso e l’organizzazione criminale di appartenenza».