Marta Cartabia è una donna che non si limita semplicemente a pensare da costituzionalista: al primato della Carta crede con una profondità, una fiducia, un’adesione assoluta che forse le provengono dall’orizzonte culturale complessivo, ma che in ogni caso hanno un potere: disarmano. Ieri, dal suo primo intervento in un consesso parlamentare, l’esposizione delle linee programmatiche davanti alla commissione Giustizia di Montecitorio, sono venuti messaggi chiari, di una forza dirompente: dal «superamento dell’idea del carcere come unica risposta al reato» alla prescrizione, con un passaggio significativo sulla proposta di distinguere fra estinzione «del reato» e «prescrizione processuale». Fino a una frase che dà in pieno il senso di una visione umanistica della giustizia: «L’idea di efficienza non rappresenta soltanto un obiettivo pragmatico, riflesso della stretta compenetrazione tra giustizia ed economia, ma si coniuga altresì con la componente valoriale del processo, con gli ideali tesi alla realizzazione di una tutela giurisdizionale effettiva per tutti». E tutto l’intervento è un lungo omaggio alla migliore tradizione di studi che l’Italia è in grado di offrire. Si dirà: verrà travolta in poco tempo. E invece no. Perché questa signora sa farsi rispettare nell’agone politico attraverso la ragionevole proposta del metodo. Vi dedica un paragrafo, che consiste nel rispetto della «centralità del Parlamento» ma anche nella netta richiesta di «impegno da parte delle Camere, che debbono essere luogo di confronto autentico schietto» e «tempestivo». Mediare sì, ma non all’infinito.

«Superare il carcere come unica risposta»

Nel dibattito seguito alla relazione, garantisti come Lucia Annibali ed Enrico Costa si abbandonano a vigorosi sospiri di sollievo, ma nessuno dal fronte 5 stelle pronuncia anatemi. Sembra un miracolo. È il disarmo che viene dalla forza della Costituzione. E che strabilia soprattutto in quel passaggio sull’esecuzione penale, destinato a restare negli annali: «Penso sia opportuna una seria riflessione sul sistema sanzionatorio» che «ci orienti verso il superamento dell’idea del carcere come unica effettiva risposta al reato. La certezza della pena», scandisce la guardasigilli del governo di Mario Draghi, «non è la certezza del carcere». La detenzione in cella, ricorda, «per gli effetti desocializzanti che comporta, deve essere invocata quale extrema ratio. Occorre valorizzare piuttosto le alternative al carcere, già quali pene principali». Esemplare.

Lattanzi guiderà la “commissione Cartabia” sul penale

D’altra parte Cartabia non si limita a parlare: fa. Un esempio? Mentre espone il suo programma a Montecitorio, ha già scelto i componenti dei gruppi di lavoro destinati a proporre modifiche alle riforme di Bonafede: ebbene, la “commissione” sul penale è presieduta dal suo predecessore al vertice della Consulta, quel Giorgio Lattanzi che ha guidato la Corte nel “Viaggio nelle carceri” e con il quale la ministra condivide la necessità della «speranza da offrire a qualsiasi condannato». Nella commissione compare un altro nome che di per sé è una garanzia come Vittorio Manes, avvocato, ordinario di Diritto penale all’università di Bologna e figura di riferimento per l’Unione Camere penali. Ci sarà equilibrio fra avvocati, magistrati (ad esempio l’ex presidente Anm Rodolfo Sabelli) e accademici (tra gli altri Gian Luigi Gatta, scelto anche quale consigliere per le professioni).

Dalla prescrizione ai riti alternativi, il ddl Bonafede cambierà

Difficile che possano venirne indicazioni ellittiche rispetto ai principi costituzionali. Richiamati da Cartabia anche a proposito dell’ordine del giorno sulla prescrizione condiviso con la maggioranza: quell’impegno a modificare il ddl penale nel rispetto degli articoli 27 e del 111 «deve essere onorato». Più di un indizio suggerisce che la guardasigilli rinuncerà al lodo Conte bis e non escluderà affatto l’opzione della prescrizione processuale, già messa sul tavolo, peraltro, anche dall’alleato del Movimento 5 Stelle, il Pd. Che la riforma penale sia destinata a cambiare volto è segnalato da altri punti dell’esposizione: dall’enfasi accordata all’«irrinunciabile diritto di difesa» che il ddl Bonafede qua e là compromette, alla volontà di «valorizzare i riti alternativi», ora assai timidamente trattati.

Il no di Cartabia al processo mediatico

Ma un altro passaggio chiave, di rilevanza forse pari alle parole sul carcere, arriva — peraltro a braccio perché non previsto nel testo della relazione — a proposito della “sponda” che a volte gli inquirenti cercano sui media per amplificare la forza delle accuse: «A proposito della presunzione di innocenza, permettetemi di sottolineare la necessità che l’avvio delle indagini sia sempre condotto con il dovuto riserbo, lontano dagli strumenti mediatici per un’effettiva tutela della presunzione di non colpevolezza, uno dei cardini del nostro sistema costituzionale». E qui Costa, già pronto a depositare un autonomo ddl a riguardo, esclama, a nome di Azione: «È musica per le nostre orecchie». Non manca il passaggio sulle «non commendevoli vicende del Csm», che però non giustificano l’equazione fra «degenerazione del correntismo» e «pluralismo nella rappresentanza in Consiglio». Cartabia non pare intenzionata a iscriversi al partito di chi vorrebbe trattare le correnti come la mafia.

Sintonia fra la ministra e il “Recovery del Cnf”

Andrebbe dedicato un capitolo a parte al peso riservato alle «soluzioni alternative delle controversie», evocate dalla ministra a proposito della riforma civile.  C’è ad esempio un riferimento in particolare alla «mediazione demandata»: è solo il più chiaro fra i moltissimi punti di contatto che emergono fra l’impostazione di Cartabia e la proposta avanzata dal Cnf sul Recovery. Si avanzano perplessità sulla rinuncia al rito sommario di cognizione, ma soprattutto, sempre a proposito del ddl sulla procedura civile all’esame del Senato, la guardasigilli pronuncia una frase ancora in sintonia con l’avvocatura: «Occorrerà tenere presente che ogni riscrittura del rito comporta necessariamente, almeno nelle prime fasi, un ulteriore rallentamento della macchina giudiziaria». E non se ne sente la mancanza, visto che con la fine dei regimi straordinari legati alla pandemia, come il blocco dei licenziamenti, si rischia una «esplosione ingestibile» del contenzioso. Alla fine c’è una citazione per i padri dell’Europa, De Gasperi, Adenauer e Schuman: «Ciò che ci unisce è più forte di ciò che ci divide». Realistica e generosa nello stesso tempo. Perché il discorso di ieri non può lasciare tranquillo il Movimento 5 Stelle. Ma più che la ricerca della coesione, comunque indicata come irrinunciabile, colpisce un’altra frase ancora: «Non cerchiamo la perfezione, ma le migliori risposte possibili nelle condizioni date». E qui non si è generosi, perché un intervento come quello di ieri alla perfezione sembra guardare con un certo interesse.