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Arriva l’ennesima proposta di legge volta ad inasprire le pene. Questa volta è per la detenzione o spaccio nei casi di “lieve entità”. Secondo la deputata Augusta Montaruli di Fratelli D’Italia, prima firmataria, è importante perché attualmente, la pena prevista va da sei mesi a quattro anni, e la multa da euro 1.032 a euro 10.329, renderebbe impossibile applicare la misura cautelare in carcere.
Eppure, dai recenti studi di Forum droghe, emerge l’esatto contrario: spesso capita che a queste persone, portate in carcere, quando viene loro riconosciuta la lieve entità del reato, non possono ottenere una custodia fuori dal carcere. Sono persone ai margini che hanno difficoltà ad avere un domicilio adeguato e una volta entrati nel sistema carcerario hanno difficoltà a uscirne.
Quindi ancora una volta, la parola d’ordine è “più carcere”. Eppure, e questo va dato atto, c’è Andrea Delmastro di Fratelli D’Italia che ha riconosciuto il grave sovraffollamento dovuto da causa di un’alta percentuale di tossicodipendenti che in carcere non ci dovrebbero proprio stare. Ma la proposta di legge della deputata del suo stesso partito, è volta invece a far riempire le patrie galere, mirando ad alzare fino a 5 anni la pena massima per chi è responsabile di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope se il fatto è, appunto, di “lieve entità”. Come se l’attuale testo unico sulle droghe fosse “lassista”.
Nei fatti, il problema è l’opposto: in Italia il 32 per cento delle persone nelle nostre carceri è lì per aver violato la legge sulle droghe, mentre la media europea è del 18 per cento. La nostra è una normativa già produttrice di carcere e in particolar modo repressiva. Abbiamo già pene significativamente alte.
La legge sulle droghe è il principale veicolo di ingresso in carcere
Ci viene in aiuto il libro bianco sulle droghe promosso da La Società della Ragione, Forum Droghe, Antigone, Cgil, Cnca, Associazione Luca Coscioni, Arci, Lila e Legacoopsociali con l’adesione di A Buon Diritto, Comunità di San Benedetto al Porto, Funzione Pubblica Cgil, Gruppo Abele, Itardd e Itanpud. Ogni anno viene presentato in occasione del 26 giugno, Giornata mondiale sulle Droghe, nell’ambito della campagna internazionale di mobilitazione “Support! don’t Punish” che chiede politiche sulle droghe rispettose dei diritti umani e delle evidenze scientifiche. Si apprende, dati in mano, che la legge sulle droghe è il principale veicolo di ingresso nel sistema della giustizia italiana e nelle carceri. Basti pensare che senza detenuti per art. 73 (spaccio) o senza detenuti dichiarati “tossicodipendenti” non si avrebbe alcun problema di sovraffollamento nelle carceri italiane. La legislazione sulle droghe e l’uso che ne viene fatto sono quindi decisivi nella determinazione dei saldi della repressione penale: come dimostrato in questi anni la decarcerizzazione passa attraverso la decriminalizzazione delle condotte legate alla circolazione delle sostanze stupefacenti così come le politiche di tolleranza zero e di controllo sociale coattivo si fondano sulla loro criminalizzazione.
I 10.350 dei 36.539 ingressi in carcere nel 2021 sono causati da imputazioni o condanne sulla base dell’art. 73 del Testo unico. Non è vero quindi che “gli spacciatori non vanno in carcere”: sono invece il 28,3% degli ingressi totali molti dei quali vi restano, come dimostrano i dati seguenti. Sono lontani gli effetti della sentenza Torreggiani della Cedu e dell’adozione di politiche deflattive della popolazione detenuta. Sostanzialmente stabile la percentuale dei presenti per droghe è il 34,88% del totale (nel 2021 era il 35,04%). È una percentuale quasi doppia rispetto alla media europea (18%) e mondiale 21,65%) e che supera anche quella della Russia (28,6%). Sui 54.134 detenuti in carcere al 31 dicembre 2021 si registra un leggero calo dei presenti a causa del solo art. 73 del Testo unico (spaccio): sono 11.885. In aumento quelli in associazione con l’art. 74 (associazione per traffico illecito di droghe) 5.971. Aumentano anche i detenuti esclusivamente per l’art. 74, che superano per la prima volta quota mille: sono 1.028.
I detenuti tossicodipendenti sono il 35,85 per cento
Si confermano drammatici i dati sugli ingressi e le presenze di detenuti definiti “tossicodipendenti”: lo sono il 35,85% di coloro che entrano in carcere, mentre al 31/ 12/ 2021 erano presenti nelle carceri italiane 15.244 detenuti “certificati”, il 28,16% del totale più di 1000 in più rispetto all’anno precedente. Si tratta del record percentuale, oltre i livelli della Fini-Giovanardi ( 27,57% nel 2007), alimentato dall’aumento degli ingressi in carcere di persone che usano sostanze. E poi c’è il problema dei tribunali ingolfati. Le persone coinvolte in procedimenti penali pendenti per violazione dell’articolo 73 e 74 sono rispettivamente 186.517 e 45.142. In totale 231.659 fascicoli per droghe intasano i tribunali italiani, dato che si mantiene ai massimi da 16 anni a questa parte, probabilmente anche per il rallentamento dovuto alla pandemia.
In sostanza, bastano solo i dati sulle carceri per comprendere che la vera emergenza è l’elevato numero di persone detenute nelle carceri italiane per una legge molto punitiva e che invece dovrebbero essere curate nel circuito dei servizi di cura. Viene colpito il consumatore, mentre i rappresentanti della criminalità organizzata rappresentano una minoranza. In carcere ci finiscono i piccoli spacciatori e la proposta di legge avanzata dalla deputata di Fratelli D’Italia non fa che aumentare il problema.
La proposta di legge di Riccardo Magi (+Europa) che punta alla depenalizzazione
Dal 2020, invece, è rimasta nel cassetto la proposta di legge avanzata da Riccardo Magi, deputato di Più Europa, la quale punta a depenalizzare il possesso di droghe leggere. Ridurre le pene e rafforzare l'attenuante della lieve entità, che diventerebbe una fattispecie autonoma. A ciò aggiunge la decriminalizzazione di coltivazione ed uso personale. Cosa che sta avvenendo in Germania con la riforma che apre la strada alla legalizzazione basata sull’autoproduzione, allargata alla forma associata sul modello dei “Cannabis Social Club”, peraltro già presenti in forma più o meno legale in vari stati europei, a partire dalla Spagna e poi integrati nella legge approvata dall’Uruguay di Mujica nel 2013. Nei “Cannabis Social Club”, con massimo 500 membri, sarà possibile “acquistare” la propria quota di coltivazione ( massimo 25 grammi, 50 in un mese). “Vogliamo combattere il mercato nero e ridurre i crimini legati alla droga” ha detto il ministro della Salute del governo rosso verde tedesco Karl Lauterbach, con un progetto che prevede la “distribuzione controllata di cannabis agli adulti entro limiti chiari”.
In una prima fase, sarà introdotto il provvedimento per decriminalizzare il possesso e la coltivazione per suo personale fino a 3 piante di cannabis e la possibilità di apertura dei cosiddetti “Cannabis Social Club”, ovvero associazioni senza scopo di lucro in cui potere acquistare la cannabis coltivata in forma associata. Poi in autunno verrà presentato un ulteriore progetto di legge che prevederà la sperimentazione di un sistema di licenze commerciali, volto a testare in specifici territori una forma di legalizzazione più ampia che preveda anche una regolamentazione legale di produzione, distribuzione e vendita a scopo di lucro. Da noi, invece, si pensa all’inasprimento della pena. Carcere, sempre e solo carcere.