La legge è poco chiara e la prossima sentenza della Cassazione potrebbe far chiudere per sempre i negozi che vendono la canapa. Si tratta della legge del 2016 che legalizzò la vendita dei prodotti ricavati dalla canapa che abbiano un principio attivo stupefacente di Thc (deltatetraidrocannabinolo) inferiore a 0,2.

Parliamo della cosiddetta cannabis light che viene commercializzata in diversi negozi nati proprio per questo, ma che hanno visto, in diversi casi, maxi sequestri da parte della polizia. Perché? Tutto nasce dalla normativa poco chiara sulla cosiddetta canapa legale e da un assunto fin da subito evidente ai più, ma che ha attirato l'attenzione degli inquirenti: la marijuana venduta dai vari negozi di ' erba legale' viene fumata e non usata per l'uso ornamentale a cui sarebbe destinata secondo la legge vigente.

Un esempio. A dicembre scorso gli agenti di polizia hanno notato che alcuni minorenni nel forlivese, in Emilia Romagna, acquistavano alcuni articoli da un distributore automatico di ' canapa light' per poi fumarsela in strada. Una spia di un fenomeno su cui gli inquirenti hanno voluto vederci chiaro facendo scattare un'operazione ad ampio raggio che ha portato al censimento dei negozi di cannabis legale, spuntati come funghi negli ultimi due anni, uno dei quali proprio a fianco del portone della Questura di Forlì. La Squadra Mobile di Forlì ha così dato vita ad un'operazione che ha visto l'impiego di una cinquantina di poliziotti nel controllare 16 punti vendita di vannabis light della provincia di Forlì- Cesena e il sequestro di 73 chili di marijuana dal valore commerciale di circa 750 mila euro. Ma non è l’unico caso e non riguarda solo i negozi, ma anche gli agricoltori che coltivano la canapa.

SENTENZE CHE CONFLIGGONO

A fronte dell’alto numero di sequestri disposti da varie procure italiane ai danni di commercianti di infiorescenze ed estratti, la magistratura ha dato vita a orientamenti confliggenti, culminati in pronunce della Cassazione di diverso segno. Il nodo del dibattito giurisprudenziale riguarda la scriminante contenuta nell’art. 4 commi 5 e 7 l. 242/ 2016, a norma del quale è esclusa la responsabilità dell’agricoltore che, rispettando i requisiti di cui sopra, produca piante di canapa contenenti una quantità di principio attivo THC rientrante nel limite del 0,6%. Inoltre, nel caso in cui, all’esito di un controllo, tale percentuale risulti maggiore dello 0,6% e l’agricoltore abbia rispettato detti requisiti, l’autorità giudiziaria potrà disporre il sequestro e la distruzione delle coltivazioni di canapa, escludendosi però ogni responsabilità da parte dello stesso. Nei confronti dello stesso non sarà dunque applicabile la normativa contro gli stupefacenti di cui al d. p. r. 309/ 90 ( testo unico), e non sarà soggetto ad alcuna conseguenza di tipo penale o amministrativo. La giurisprudenza di merito e di legittimità si è interrogata circa l’estensibilità della causa di giustificazione appena citata al commerciante che venda infiorescenze e prodotti derivati ai consumatori finali.

Un primo indirizzo interpretativo, nelle sentenze Cass. Sez. VI del 17.12.18 n. 56737 e Cass. Pen. Sez, VI, 10 ottobre 2018, n. 52003, ha fornito una risposta negativa al quesito, essendosi ritenuto come la normativa in esame disciplini esclusivamente la coltivazione della canapa sativa, consentendola, alle condizioni ivi indicate, soltanto per i fini commerciali elencati dall’art. 1, comma 3. Secondo i giudici della Suprema Corte, tra i fini elencati dalla norma non rientrerebbe la commercializzazione dei prodotti costituiti dalle infiorescenze e dalla resina. I valori di tolleranza di Thc consentiti dall’art. 4, comma 5, I. n. 242 del 2016 ( 0,2- 0,6%) si riferirebbero solo al principio attivo rinvenuto sulle piante in coltivazione e non al prodotto oggetto di commercio. La detenzione e commercializzazione dei derivati della coltivazione disciplinata dalla predetta legge, costituiti dalle infiorescenze ( marijuana) e dalla resina ( hashish), rimarrebbero, conseguentemente, sottoposte alla disciplina del testo unico sulle sostanze stupefacenti.

Secondo un contrario orientamento, confluito nella sentenza della Cass. Sez. VI n. 4920 del 31.1.2019, la commercializzazione dei prodotti derivati della canapa sativa tra cui le infiorescenze è un corollario logico giuridico della L. 242/ 2016. In altri termini, dalla liceità della coltivazione della cannabis alla stregua della legge n. 242/ 2016, deriverebbe la liceità dei suoi prodotti contenenti un principio attivo Thc inferiore allo 0.6 %, nel senso che non potrebbero più considerarsi ( ai fini giuridici), sostanza stupefacente soggetta alla disciplina del testo unico sulle sostanze stupefacenti, al pari di altre varietà vegetali che non rientrano tra quelle inserite nelle tabelle allegate al predetto testo. La fissazione del limite dello 0,6% di Thc rappresenterebbe, nell’ottica del legislatore, un ragionevole punto di equilibrio fra le esigenze precauzionali relative alla tutela della salute e dell’ordine pubblico e quelle inerenti alla commercializzazione dei prodotti delle coltivazioni. La percentuale dello 0,6% costituirebbe, infatti, il limite minimo al di sotto del quale i possibili effetti della cannabis non possono essere considerati, sotto il profilo giuridico, psicotropi o stupefacenti. Ne deriverebbe che, ove sia incontroverso che le infiorescenze sequestrate provengano da coltivazioni lecite ex l. 242 del 2016, sarebbe esclusa la responsabilità penale sia dell’agricoltore che del commerciante, anche in caso di superamento del limite dello 0,6%, essendo quindi ammissibile soltanto un sequestro in via amministrativa, a norma dell’art. 4, comma 7, I. n. 242 del 2016 ( Cass., Sez. 6, n. 4920 del 29- 11- 2018, dep. 2019, Castignani).

RISCHIO DI MILIARDI IN FUMO

A fronte della sentenza della sesta sezione penale della Cassazione, secondo la quale il commercio di cannabis light è lecito, c’è stata quindi un’altra pronuncia della sezione penale, che, volendo dire l’opposto, ha pensato che l’unica soluzione sia quella di far intervenire le sezioni unite della Cassazione. Il responso dovrebbe arrivare il 30 maggio e se negativo, le saracinesche dovrebbero abbassarsi per tutti. Se la politica non interviene attraverso una normativa ben precisa, andrà in fumo il volume di affari che gira intorno alla canapa sativa che in Italia supera i 7 miliardi di euro. Un duro colpo all’economia sempre più in crisi e con la conseguenza della perdita di numerosi posti di lavoro. Per questo ad aprile è nato il Consorzio Nazionale per la Tutela della Canapa per difendere la produzione della cannabis legale e rilasciare un certificato di garanzia. Oggi sono più di 3.000 gli ettari messi a produzione della canapa legale con un trend annuale in continua ascesa e sono ormai 15.000 i punti vendita in tutta Italia. Una realtà che però rischia di finire e quindi mettere in crisi l’intero settore. La politica, per ora, non vuole occuparsi di questo vuoto normativo che potrebbe essere colmato mettendo mano sul testo unico degli stupefacenti.

Allo stato degli atti è davvero difficile prevedere quale dei due orientamenti ( la legge sulla canapa light e il testo unico sugli stupefacenti) potrà prevalere a seguito dell’esame delle Sezioni Unite. Si auspica dunque che i giudici delle sezioni unite possano razionalizzare la confusa disciplina intorno alla cannabis “light”, tutelando il gran numero di imprenditori che nell’ultimo anno hanno deciso di investire con forza nel settore.