PHOTO
Ciatti
Sul voto a distanza per il rinnovo del consiglio direttivo della Camera Penale di Roma e sulle polemiche scaturite, culminate ieri nell’intervento di alcuni soci su questo giornale in difesa del voto in presenza, abbiamo sentito l’avvocato Vincenzo Comi, presidente della Camera Penale: «Non entro nel merito di un articolo dall’evidente stampo da campagna elettorale di una camera penale la cui forza da sempre è riconosciuta anche dall’ardore del dibattito dei soci che testimonia la sua vitalità. Adesso mi preoccupa di più l’entrata in vigore della riforma Cartabia e la necessità di una strategia politica forte a livello territoriale all’alba della nascita del nuovo governo. Questi sono temi di forte interesse per noi penalisti romani, quotidianamente impegnati nelle aule giudiziarie per assicurare i diritti dei cittadini, non in sterili polemiche cui assisto». Per Comi, «si fa fatica a comprendere le ragioni del contrasto sulla modalità di espressione del voto on line considerato che dovrebbe essere un interesse condiviso consentire la più ampia partecipazione di tutti i soci ad una fase così significativa per la vita dell’Associazione. Forme di esercizio del diritto di voto in aggiunta al voto in presenza, che tendono ad eliminare possibili ostacoli all’esercizio effettivo del diritto di voto, costituiscono una manifestazione di democrazia e dovrebbero essere incoraggiate e non ostacolate». Sul fatto che tale strumento di voto a distanza non sia previsto dallo Statuto, ci dice: «Ricordo la circolare del presidente del Tribunale Reali di qualche giorno fa che segnala una preoccupante salita della curva dei contagi e invita a maggior prudenza per evitare assembramenti e recrudescenze del virus, che forse non è pericoloso come prima, ma ha ancora costi sociali elevati». Insomma, ribadisce Comi, «più che chiarire il tema, si tende a ingenerare equivoci, la modalità di voto è neutra, e avvantaggia tutti gli iscritti. Sono persuaso che non si possa avere timore di garantire la più ampia partecipazione al voto». Sta di fatto che diversi soci hanno criticato aspramente questa scelta per diversi motivi: «Qualcuno pensa che io abbia sbagliato? Nessuno è infallibile. Ora il mio impegno è di assicurare la massima partecipazione di tutti gli iscritti all’associazione. In passato è stato quello di far crescere l’associazione. Sono profondamente dispiaciuto di leggere prese di posizione che finiscono per danneggiare tutti. Il fatto che oggi si sia in presenza di un numero così alto di associati, mai raggiunto in passato ,è un dato che rivendico con orgoglio. È il dato che ha riconsegnato la nostra associazione a tutti gli avvocati penalisti della Capitale, e che evita che le scelte politiche della stessa vengano determinate da piccoli gruppi di militanti, seppur più intraprendenti. Per quanto riguarda me, mi sono congedato da poco con i nostri soci, ringraziandoli ancora una volta per l’onore che mi è stato concesso. Lascio una camera penale sempre più vitale, partecipata, forte. Storicamente la nostra associazione paga il dazio alla grande passione che anima tutti quelli che vi partecipano, con polemiche simili a quella per cui mi avete chiamato. Non mi stupisce e quasi lo ritengo fisiologico. Come ritengo fisiologico, in questo momento elettorale, una certa distorsione dei dati». L’altra polemica si riferiva allo “strano” coinvolgimento di civilisti nei momenti di alcune deliberazioni, quasi a ipotizzare truppe cammellate a favore di un gruppo: «È vero, siamo tanti iscritti ma i soci sono soci; se si ritiene che qualcuno non ne abbia i requisiti a norma di Statuto o, meglio ancora, che i requisiti per l’accesso debbano essere più stringenti per il futuro, si lavori su quello. Del resto, è singolare che chi agita democrazia e partecipazione si dolga di uno strumento che la agevola. In questo biennio abbiamo avuto 126 nuove richieste di iscrizione approvate all’unanimità da tutto il direttivo». Sul fatto che negli ultimi anni, come sostenuto da Emma Tosi, «si è creato un grave deficit di partecipazione», Comi conclude: «Alcuni colleghi che si erano allontanati si sono riavvicinati all’associazione. Auspico che nell’immediato futuro si possa discutere delle modalità con cui rendere sempre più effettive le funzioni e gli scopi che l’ordinamento riconosce a noi difensori e mi permetto di invitare i colleghi, nell’approssimarsi della campagna elettorale, ad evitare di sacrificare sull’altare individuale il nostro accreditamento conquistato in tanti anni di impegno e servizio. Io – ripeto – posso aver sbagliato tante volte, ma non ho mai abdicato a mettere al primo posto delle mie scelte l’interesse della nostra associazione». Finirà qua? Noi non crediamo.