L'ombra del clan su un giocatore di serie A. Camorra e pallone, infatti, sono di nuovo al centro di una indagine dei carabinieri che ha portato il gip di Napoli, Ludovica Mancini, a emettere una misura cautelare per 10 indagati, sette dei quali in carcere per il loro ruolo all'interno della cosca della Vanella Grassi, uno dei giovani e rampanti gruppi emergenti dell'area Nord di Napoli, e tre ai domiciliari. Tra questi ultimi, accusati di concorso esterno in associazione a delinquere, l'ex calciatore del Nola e del Casalnuovo Luca Pini, e il giocatore dell'Acireale, ma nel campionato di serie B 2013-2014 nell'Avellino, Francesco Millesi. E, soprattutto, indagato, ma non destinatario di provvedimenti restrittivi, Armando Izzo, ex Avellino anche lui, ora difensore del Genoa e convocato il 16 maggio scorso a Coverciano per la Nazionale. Izzo è nipote di Salvatore Petriccione, tra i 'fondatorì della Vanella Grassi, ed è lui per i pm il contatto tra l'organizzazione criminale e il mondo del pallone. A Pini e Millesi sono contestate le responsabilità più pesanti. Per il gip, sono i 'facilitatorì delle combine nel campionato cadetto 2013-2014, gli uomini che corrompono altri giocatori per conto del boss Antonio Accurso, arrestato nel maggio 2014 proprio mentre festeggiava i 110mila euro guadagnati dalle varie quote sulla partita truccata Avellino-Reggina del 17 di quel mese, persa dalla squadra di casa per volontà della camorra. Oltre a questa partita, nell'indagine risulta alterata anche quella tra Modena e Avellino del 17 maggio di due anni fa; anche qui il clan scommette 400mila euro e ne incassa 60mila dopo aver indotto il giocatore irpino Maurizio Peccarisi a favorire una rete del Modena. Un progetto di combine c'era anche per Avellino-Trapani, racconta l'indagine, ma fallì, mentre quello per Padova-Avellino naufragò per l'arresto di Accurso. Che, da collaboratore di giustizia, ha aperto questo filone di indagine mentre si indagava sulla rete di traffico e spaccio della Vanella e sulle coperture ai suoi latitanti. Izzo, secondo quanto ha raccontato il pentito Antonio Accurso, aveva solo 15 anni quando aveva chiesto allo zio di affiliarsi alla camorra, ma il boss conoscendo le qualità da calciatore del nipote, mandò un 'imbasciata' dal carcere e gli disse di no, invitandolo a coltivare il suo talento sportivo come professionista.