È un 78enne affetto dal morbo di Parkinson, aggravato da una grave instabilità motoria causato da diverse cadute tanto da essersi fratturato il femore. Vive in cella con la carrozzella ed è assistito da un piantone. Ha diverse patologie e soffre di attacchi intensi di ansia tanto da prendere gli psicofarmaci. A causa di una incostante difficoltà nella deglutizione, diventa difficoltosa l’assunzione regolare di farmaci. Le condizioni di salute di A.P., 78 anni, campano, detenuto in regime di Alta Sicurezza ricoverato nel Sai (Servizio Assistenza Intensiva) della Casa Circondariale di Cagliari-Uta, trasferito da poco dal carcere di Parma, suscitano preoccupazioni. A segnalare la vicenda è Maria Grazia Caligaris, dell’associazione “Socialismo diritti riforme” avendo ricevuto una segnalazione dai familiari che hanno denunciato una nuova caduta dell’anziano detenuto verificatasi nei giorni scorsi. «A. P. – sottolinea Caligaris – si trova dai primi giorni di dicembre nella Casa Circondariale di Cagliari, proveniente da Parma. Nonostante le cure dei sanitari però, le condizioni generali non appaiono compatibili con un regime detentivo. Il suo quadro clinico infatti appare molto complesso e aggravato dall’età e dallo stato depressivo». Caligaris sottolinea che si tratta di una persona in tarda età costretta a stare su una sedia a rotelle e quasi del tutto incapace di badare a sé stessa, non riuscendo più a governare il tremore degli arti. Uno stato che, come documenta la cartella clinica e una perizia redatta da Ciro Florio ex direttore del Reparto di Neurologia-Stoke Unit dell’Ospedale “A Cardarelli” di Napoli grava pesantemente anche sulla sua condizione psicologica. Il Dubbio ha potuto visionare la cartella clinica e la perizia, e in effetti il quadro è a dir poco preoccupante. Dalla perizia redatta da Cirio Florio, ex direttore del reparto neurologia dell’ospedale Cardarelli di Napoli, si apprende che l’anziano detenuto ha raggiunto l'ambulatorio del carcere obbligato in sedie a rotelle accompagnato da un piantone, essendo impedito nel muoversi autonomamente mantiene la stazione eretta con estrema difficoltà e solo se sorretto, con ampie oscillazioni del corpo ostacolato dal tremore e dalla evidente paura di cadere. La perizia ribadisce che A.P. risulta più volte caduto in carcere «come non sempre correttamente riportato nelle cartelle cliniche nonostante più volte denunciate quali conseguenze delle molteplici comorbidità della malattia di base (ipotensione ortostatica, abuso di lassativi, cattiva alimentazione, scarso controllo farmacologico ecc.) fino ad arrivare alla frattura del femore del 20 maggio nel carcere di Parma, e nonostante il medico del carcere in data 5 maggio avesse allertato del rischio obbligando il paziente a non alzarsi da solo dal letto e a ridurre la somministrazione del farmaco antiprostatico Xatral a giorni alterni, a causa dei noti effetti ipotensivanti dello stesso». Non solo. La perizia sottolinea che, già in epoca precedente alla frattura, «il fisiatra del carcere aveva prescritto un trattamento riabilitativo che il terapista del carcere non si era sentito di praticare preoccupato per le condizioni mediche generali del paziente come poi il trauma ha tragicamente confermato». Poi si va sul punto che rende bene l’idea di come il carcere peggiora la situazione. La fisiochinesiterapia riabilitativa rappresenta il fondamentale trattamento nelle forme avanzate di Parkinson, come in questo caso, che come anche sostenuto dal medico legale e dai medici del carcere «non può essere gestito correttamente – si legge nella perizia - nell'attuale carcere e verosimilmente anche in altri». Si sottolinea che l'unico trattamento dimostratosi valido si è ottenuto solo «quando il paziente aveva effettuato una intensiva terapia riabilitativa in clinica specializzata all'epoca degli arresti domiciliari, e da una attenta somministrazione dei molteplici farmaci, condizione oggi ancora più valida in considerazione dell'aggravante della frattura di femore occorsa nel carcere e riabilitata pochissimo (4+ 9 brevi sedute) nonché tardivamente». Maria Grazia Caligaris, alla luce delle evidenze sottolineate dai medici, denuncia che davanti a una condizione così pesante in cui il tremore impedisce all’uomo perfino di mangiare senza un aiuto, non sembra che permanere in una struttura penitenziaria possa far migliorare il suo stato e possa consentirgli di vivere la detenzione in maniera dignitosa soddisfacendo le ragioni per le quali ha senso un programma di riabilitazione sociale. «Occorre infine ricordare – conclude l’esponente di Sdr – che se il morbo di Parkinson, benché a progressione degenerativa inarrestabile, può essere in parte gestito con interventi riabilitativi mirati, costanti e praticati in ambiente idoneo, ciò non sembra poter avvenire in un carcere. L’auspicio è che al più presto possa accedere a una pena alternativa o a un ricovero in una residenza sanitaria assistenziale, in attesa che le sue condizioni di salute gli permettano un eventuale ritorno in carcere. Mantenere una persona in così gravi difficoltà in un regime detentivo appare in contrasto con il comune senso di umanità». Il 5 gennaio scorso risulta che il detenuto recluso attualmente nel carcere Uta di Cagliari, in tarda sera, è caduto riportando escoriazioni in varie parti del corpo. L’avvocato Raffale Esposito del foro di Napoli che l’assiste, ha invitato una sollecitazione al magistrato di sorveglianza di Cagliari. Sottolinea che l’ultimo episodio «rappresenta un’ulteriore dimostrazione della impossibilità, da parte del carcere, di far fronte alla grave patologia che affligge A. P. e del conseguente pericolo che corre ogni giorno che passa». Per questo, facendo seguito all’istanza di sospensione della pena, già depositata, ha colto l’occasione per sollecitare la magistratura di sorveglianza, affinché acquisisca il referto medico relativo alla caduta recente e solleciti la Direzione Sanitaria del carcere di Uta alla redazione della relazione sanitaria.