PHOTO
«Abbiamo tolto il bavaglio che il Pd aveva messo alla stampa». Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, annuncia così la proroga dell’entrata in vigore della riforma sulle intercettazioni, contenuta nel decreto Milleproroghe licenziato dal Consiglio dei Ministri. Così, come la tela di Penelope, la norma cucita nella scorsa legislatura viene disfatta dal nuovo governo, il quale ne promette la riscrittura.
Il decreto - pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 5 gennaio di quest’anno - prevedeva una nuova procedura bifasica per il deposito degli atti riguardanti le intercettazioni, con l’acquisizione di quelle rilevanti e il contestuale stralcio di quelle inutilizzabili, che confluivano in un archivio riservato.
Ai pm era assegnato il ruolo di “garanti” della riservatezza della documentazione, con una stretta nel monitoraggio degli accessi a brogliacci, trascrizioni e nastri e il divieto di trascrizione, anche sommaria, di conversazioni irrilevanti. Inoltre, il testo introduceva nel codice penale il nuovo reato di diffusione di riprese e registrazioni fraudolente. La nuova disciplina aveva trovato la ferma opposizione della magistratura associata, in particolare per quello che era stato definito lo «strapotere della polizia giudiziaria» nella valutazione delle intercettazioni, che anche ieri - per bocca del presidente dell’Anm, Francesco Minisci - aveva chiesto «subito un intervento per bloccarla».
Detto fatto, il Guardasigilli ne ha sospeso l’entrata in vigore. «Va ripensato l’intero assetto», ha aggiunto Minisci, sottolineando che «la riforma è sbagliata, perchè non raggiunge l’obiettivo di tutelare la privacy» ed «è dannosa sia per il lavoro dei pm che per il diritto di difesa». La magistratura, infatti, ha in tutte le sedi ribadito come le intercettazioni siano «uno strumento fondamentale per le indagini», senza le quali «si rischia di gettare al macero decine e decine di indagini per reati anche gravi». Bonafede, in sintonia con il sentire della magistratura, ha commentato, al termine del Consiglio dei Ministri: «Abbiamo tolto le mani della vecchia politica dalle intercettazioni, che rappresentano uno strumento di indagine fondamentale per fenomeni come la corruzione che hanno dilaniato questo Paese». Non solo, collocando il decreto su un binario morto, «impediamo che venga messo il bavaglio sulla informazione e sulla possibilità degli organi informazione di far conoscere a cittadini fatti rilevanti». Secondo Bonafede, infatti, la norma voluta dal suo omologo Andrea Orlando, «era stata scritta evidentemente con l’intento di impedire ai cittadini di ascoltare le parole dei politici indagati o che i politici pronunciano quando sono al telefono con persone indagate». Una sorta di silenziatore per le inchieste giornalistiche, insomma, per proteggere i dirigenti dem. Il ministro non ha lesinato le accuse, citando direttamente il caso Consip ( in riferimento al quale, nei giorni scorsi, il maggiore Gianpaolo Scafarto ha chiesto scusa alla famiglia Renzi per gli errori nelle indagini), «in concomitanza» del quale è passata la riforma. «Ogni volta che qualcuno del Pd veniva ascoltato dai cittadini c’era che il Pd che tendeva a tagliare la linea e le comunicazioni.
L’intento era quello di evitare che i cittadini ascoltassero i politici», è la ricostruzione del ministro ( nonostante - a rigore di norma e anche prima della riforma Orlando - i brogliacci e le trascrizioni delle intercettazioni siano comunque coperte da segreto d’ufficio durante la fase delle indagini preliminari). Ora, l’obiettivo della nuova gestione di via Arenula è di «riscrivere la norma attraverso un percorso partecipato. Ho scritto una lettera a tutte le procure distrettuali d’Italia, al Consiglio Nazionale Forense, ho già ricevuto contributi importantissimi». Infine, in merito ai 40 milioni di euro già spesi per l’acquisto di nuove attrezzature, Bonafede ha assicurato che «nemmeno un euro andrà sprecato».