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Via Arenula non ha dubbi. Non ne ha il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, così come aveva detto di non averne il sottosegretario Vittorio Ferraresi, anche lui del Movimento cinquestelle. Non ci sarà alcuna conseguenza favorevole ad amministratori sotto processo che possa essere determinata dall’inciso inserito all’articolo 316 ter del codice penale, con cui si aggravano le pene della “indebita percezione” quando a ottenere soldi dello Stato sia un pubblico ufficiale. «È un emendamento che non salva nessuno», risponde il guardasigilli a chi gli chiede della norma, inserita nella legge Anticorruzione durante il penultimo passaggio parlamentare al Senato, ed etichettata da alcuni come “salva- Lega”. Secondo Bonafede, appunto, la modifica «aggrava» la fattispecie di reato: «Non pone dubbi su questo, si aggrava la pena». E poi aggiunge la valutazione che a questo punto risulterà decisiva: «L’indebita percezione di erogazione a danno dello Stato individua un comportamento, il peculato un altro».
Il busillis è soro dopo alcuni articoli pubblicati da Repubblica. Il primo sull’edizione genovese del quotidiano, in cui si riportano considerazioni svolte da alcuni magistrati genovesi. Nel capoluogo ligure è in corso il processo a uno degli esponenti del Carroccio che, secondo tali ricostruzioni, finirebbe per essere beneficiario della modifica: si tratta del viceministro Edoardo Rixi, che risponde in uno dei giudizi su una delle tante presunte “rimborsopoli” regionali. Secondo i sospetti, l’inasprimento sanzionatorio sarebbe servito in realtà a riferire esplicitamente l’indebita percezione ai consiglieri regionali: nella versione preesistente del 316 ter i “pubblici ufficiali” e gli “incaricati di pubblico servizio” non erano citati. A loro, e quindi a tutti i consiglieri regionali accusati di aver presentato scontrini incongrui, si è finora applicata un’altra norma, quella sul peculato. Ma secondo Bonafede e Ferraresi così è stato perché appunto «chi avrebbe ottenuto rimborsi non dovuti si è di fatto appropriato di somme che erano già nella loro disponibilità, in quanto fondi assegnati ai loro gruppi consiliari». L’interpretazione fa affidamento su un’analisi condotta direttamente dal legislativo di via Arenula. E in effetti la natura dei rimborsi ai gruppi politici parrebbe ricadere nel caso del peculato: si tratta di risorse finanziarie che intanto la Regione dava ai partiti e che poi i partiti stessi assegnavano ai singoli componenti, a fronte dei giustificativi. Ma c’è anche chi si mantiene prudente, come il vicepresidente del Csm David Ermini: «Saranno i giudici di merito e di legittimità a valutare», dice.
Non fosse come sostiene il ministero, scatterebbe una prescrizione assai più breve: quella per indebita percezione non può andare oltre i 7 anni canonici, per il peculato si ragiona su scadenze doppie. «Mi rifiuto di accettare la logica ad personam: la giustizia italiana è stata impantanata nelle discussioni personali per anni», insiste Bonafede, «a me interessa che i cittadini abbiano giustizia in tempi ragionevoli, il governo lavora per questo». Il riferimento è evidentemente sia alla norma, contenuta nella stessa legge Anticorruzione, che abolisce la prescrizione dopo la sentenza di primo grado, sia alla futura legge delega che dovrebbe ridurre i “tempi morti” del processo. Sull’effettivo contenimento degli effetti del primo dei due interventi vigila l’Unione Camere penali, che dopo la promulgazione della legge ha ricordato come «l’intera comunità dei giuristi», cioè avvocati ma anche accademia e «finanche il Csm», abbia reagito «unanime». Sulla giustizia penale, d’altronde, i lavori sono sempre in corso. «A febbraio arriverà il sì definitivo sulla legittima difesa», assicura per esempio Matteo Salvini. Da Bonafede arriva invece uno stop all’ipotesi di legalizzazione delle droghe leggere, contenuta in una proposta del senatore M5s Matteo Mantero: «Non si farà, non è prevista dsal contratto».