«Il contrasto alla criminalità organizzata è un’azione prioritaria e irrinunciabile» di questo governo. È iniziata così l’audizione del ministro Alfonso Bonafede davanti alla Commissione Antimafia, davanti alla quale ha spiegato le scelte compiute in ambito penitenziario, le stesse che lo hanno esposto ieri alle due mozioni di sfiducia e diverse informative in aula per giustificare le proprie mosse, che hanno portato ad un cambio di guardia al Dap. Una scelta, questa, compiuta anche a seguito delle dichiarazioni del pm Nino Di Matteo, che ha paventato pressioni sul ministro per evitare che quel posto venisse occupato proprio da lui, inviso ai boss che, dal carcere, protestavano per una sua eventuale nomina. Sono tuttora «in corso» gli«accertamenti» disposti da via Arenula dopo le scarcerazioni avvenute nelle scorse settimane, ha chiarito Bonafede. Che ha escluso «qualsiasi tipo di pressione da parte dell’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano» contro la nomina di Antonino Di Matteo a capo del Dap. L’emergenza epidemiologica, ha sottolineato Bonafede, con riferimento alle carceri presentava due aspetti peculiari: se da un lato si tratta di strutture chiuse «nelle quali è più difficile per il virus entrare», dall’altro «è vero che nel caso in cui il virus riesca ad entrare all’interno dell’istituto penitenziario, così come in qualsiasi altra struttura chiusa, la concentrazione di persone all’interno ne aumenta potenzialmente la sua capacità di diffusione. Dunque l'estrema necessità di adottare presidi di tutela sia per coloro che vivono e lavorano all’interno delle carceri sia per la comunità tutta, al fine di evitare che nuovi focolai potessere avere un impatto devastante, sovraccaricando le strutture sanitarie, spinte nella fase iniziale al limite della pressione». L’azione del ministero, tramite il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, è stata immediatamente indirizzata alla “chiusura” del carcere, «per contenere e limitare gli eventuali contagi e provvedere all’assistenza medica degli eventuali contagiati», ha sottolineato ancora Bonafede. Il ministro ha dunque elencato le circolari emanate, indirizzate al coordinamento con le autorità sanitarie e all’applicazione dei protocolli, con controlli, fornitura di presidi e limitazione delle occasioni di contagio. Sono 102 su 53.458 le persone recluse attualmente positive, di cui una ricoverata in struttura sanitaria esterna. Il picco di detenuti positivi è stato di 162 casi su tutto il territorio nazionale, mentre risultano guarite 122 persone recluse. Tra il personale in servizio, sono 154 i dipendenti su 40.751 che risultano attualmente positivi, di cui quattro del personale amministrativo e 150 poliziotti penitenziari, mentre risultano guarite 142 persone. «Riguardo alle scarcerazioni dei detenuti al 41 bis o in alta sicurezza - ha spiegato -, un primo numero fornito indicava in 497 le persone scarcerate appartenenti alle categorie indicate, con provvedimenti riconducibili all’emergenza sanitaria in atto. In realtà il Dap, dopo un accorto e approfondito esame analitico di ogni provvedimento che veniva richiamato, ha potuto verificare che il numero di detenuti effettivamente scarcerati per motivazioni legate in tutto o in parte al rischio determinato dal Covid 19 è in realtà di 256 persone. Si tratta dunque dei casi in cui, andando a leggere l’ordinanza, risulta che ci sia anche solo un riferimento al Covid 19». Il ministero ha disposto subito che il Dap si relazionasse immediatamente con il capo della polizia e plurimi organi investigativi inviando l’elenco dei detenuti ammessi al regime domiciliare per provvedere ai controlli soprattutto nei confronti dei soggetti più pericolosi. «Le scarcerazioni, ci tengo a precisarlo, non sono dipese da norme varate da questo governo», ha ribadito Bonafede, ricordando la norma che consente l’accesso ai domiciliari per i detenuti con pene da scontare inferiori ai 18 mesi - la 199 del 2010 -, fermo restando comunque la possibilità del magistrato di sorveglianza di non concedere i domiciliari in caso non ce ne fossero i presupposti e l’esclusione dai benefici per i condannati per reati di criminalità organizzata e i soggetti condannati per i delinquenti abituali e i detenuti sottoposti a sorveglianza particolare. Escluse anche le persone che nell’ultimo anno sono state sanzionate per comportamenti violenti in carcere e hanno partecipato alle sommosse e alle rivolte.   https://youtu.be/MXC18VYz1Ds   La sentenza Cedu sull'ergastolo ostativo: l'Italia non condivide la decisione Il primo tema toccato è stato quello relativo alle prospettive di riforma in relazione all’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario, soprattutto a seguito delle pronunce della Corte costituzionale e della Cedu. Una delle questioni alla base della discussioni è il tentativo di far convivere il fine rieducativo della pena, previsto dall’articolo 27 della Costituzione, e le esigenze di sicurezza, minacciate da un ritorno del detenuto al suo ambiente criminale originario senza dimostrare la recisione del suo legame con l’ambiente di appartenenza. Secondo le criticità messe in evidenza dalla Consulta, l’attuale disposizione ha previsto importanti modifiche in relazione alla collaborazione, non necessaria ai fini dei benefici nel caso in cui la collaborazione risulti inutile o impossibile. A ciò si aggiunge la valutazione della Cedu sull’ergastolo ostativo, con la censura per violazione del divieto di trattamenti inumani e degradanti, nella misura in cui il divieto all’accesso ai benefici penitenziari ai detenuti condannati all’ergastolo ostativo per reati di mafia o terrorismo, in particolare la liberazione condizionale, nel caso in cui non abbiano offerto prove della loro rieducazione o della collaborazione con la giustizia, non sia controbilanciato con concrete prospettive di riduzione della pena. Una pronuncia con la quale la Cedu ha invitato l’Italia a produrre una norma che prevede per gli ergastolani per mafia forme di rivisitazione critica del proprio trascorso mafioso, valutabili come requisito d’accesso ai benefici, in luogo della collaborazione.Una decisione che il governo, ha sottolineato il ministro, ha deciso di impugnare: «Non condividiamo nella maniera più assoluta questa decisione e faremo valere in tutte le sedi le ragioni del governo italiano e di una scelta che lo Stato ha fatto anni fa».dell’ordinamento penitenziario, approvata dalla Commissione parlamentare antimafia, ha spiegato Bonafede, «rappresenta un punto di partenza per qualsiasi attività di carattere legislativo, su cui auspico possa esserci una convergenza trasversale delle forze parlamentari sia di maggioranza che di opposizione». Il ministro ha sottolineato la «totale disponibilità del ministero», sottolineando che il decreto antimafia approvato il 30 aprile scorso, «potrebbe essere uno schema da replicare nel nuovo assetto normativo», con «elementi utili per il percorso parlamentare».