IL LAVORO RENDE LIBERI?

FOUNDER ECONOMIA CARCERARIA

Nel 1764, a Livorno, Cesaria Beccaria pubblica in forma anonima un piccolo libretto: “Dei delitti e delle pene” e sul frontespizio della terza edizione l’immagine racchiude l’essenza del pensiero proposto dal filosofo milanese. La giustizia rappresentata dalla dea Minerva si rifiuta di guardare il sangue, il boia e la testa mozzata; volge il suo sguardo altresì verso strumenti di lavoro, zappe, seghe martelli, misti a catene e manette. Per Beccaria la pena deve diventare dissuasione del reato, bisogna superare la punizione esemplare e la morte, perché non rieducano ma distruggono l’oggetto stesso della condanna. Nasce così la prima teorizzazione del carcere di recupero. “Il fine della pena non è di tormentare ed affliggere un essere sensibile, né di disfare un delitto già commesso. Il fine non è altro che d’impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini, e di rimuovere gli altri dal farne uguali”. Egli riteneva l’incarcerazione la forma di punizione più opportuna. Essa è graduabile attraverso la sua durata per il tipo di crimine, quindi alla crudeltà si sostituisce il tempo. Il sistema di Beccaria si fonda proprio sulla certezza della pena: “la certezza di un castigo, benché moderato, farà sempre una maggiore impressione che non il timore di un altro più terribile, unito colla speranza dell’impunita`; perché i mali, anche minimi, quando sono certi, spaventano sempre gli animi umani, (…)”. Non è quindi la crudeltà che assicura la funzione deterrente della pena, bensì la sua certezza, la sua prontezza e la sua improrogabilità. Altro importante filosofo illuminista che si occupò in chiave utilitaristica del sistema carcere è sicuramente Jeremy Bentham che non trascurò neanche la parte architettonica del carcere moderno. Il progetto che lo rese celebre fu il panopticon: un carcere di forma circolare, dotato di celle individuali disposte attorno alla sua circonferenza, le cui finestre e la cui illuminazione dovevano essere gestite in modo tale che gli occupanti fossero chiaramente visibili da una torre centrale di controllo, la quale, invece, sarebbe rimasta ad essi del tutto invisibile. Il potere doveva essere percettibile ma inverificabile. In questo modo potevano essere evitate perfino catene e manette per i detenuti. Il progetto benthamiano non fu mai realizzato ma ispirò i futuri carceri europee e statunitensi.

Il secolo XIX fu dunque un fiorire di progetti architettonici diversi tra loro per funzione, posizione e disciplina interna. Furono creati i bagni penali, le case circondariali, gli istituti di pena, le colonie agricole, le già ricordate case di correzione e di lavoro, i manicomi criminali. Tra tutti sono degni di nota, in quanto gettano le basi per l’evoluzione carceraria in Europa, le carceri di Philadelphia e di Auburn.