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Nella seconda parte del nostro viaggio “Bambini dietro le sbarre” abbiamo parlato dell’Icam, l’istituto a custodia attenuata per detenute madri previste dalla legge del 2011. Ad oggi ce ne sono 5: Torino “Lorusso e Cutugno”, Milano “San Vittore”, Venezia “Giudecca”, Cagliari e Lauro ( in Campania). Ne funzionano 4, perché l’Icam di Cagliari è tuttora priva di ospiti. La stessa legge prevede l’istituzione delle case famiglia protette, un’alternativa ritenuta valida da diverse associazioni, tipo “A Roma Insieme”, e non per ultimo dal garante nazionale delle persone private della libertà Mauro Palma. Ad oggi, grazie a diversi sforzi dell’amministrazione locale e gli enti disposti a metterci i soldi, esistono solo due case famiglia: una a Roma e l’altra a Milano.
Perché sono solo due e realizzate con non poche difficoltà? Recentemente il Gruppo Crc ( il gruppo di lavoro per l’infanzia) ha presentato il terzo rapporto supplementare – relativo all’anno 2016/ 2017 - alle Nazioni Unite sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza in Italia, alla cui redazione hanno contribuito 144 operatori delle 96 associazioni del network. Nella nella sezione dedicata ai figli di genitori detenuti, il Gruppo Crc raccomanda al ministero della Giustizia di destinare parte delle risorse previste per gli Icam agli enti locali a cui è in carico la titolarità delle Case Famiglia Protette.
Come mai lo Stato finanzia gli Icam e non le case famiglia? Andiamo a vedere cosa dice il decreto dell’ 8 marzo del 2013 che va a specificare i requisiti. Si legge che le strutture residenziali case famiglia protette previste dalla Legge n. 62 del 21 aprile 2011 - delle quali potranno frui- solo soggetti per i quali non vengano ravvisate esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, o soggetti nei confronti dei quali, nel caso di concessione di misure alternative previste, non sussista grave e specifico pericolo di fuga o di commissione di ulteriori gravi reati, e risulti constatata l’impossibilità di esecuzione della misura presso l’abitazione privata o altro luogo di dimora debbono rispettare i criteri organizzativi e strutturali previsti dall’articolo 11 della Legge 328/ 2000 ' Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali', e dal Dpcm 21 maggio 2001, n. 308, nonché dalle relative normative regionali in materia tenendo presente le seguenti caratteristiche tipologiche: le case famiglia protette sono collocate in località dove sia possibile l’accesso ai servizi territoriali, socio- sanitari ed ospedalieri, e che possano fruire di una rete integrata a sostegno sia del minore sia dei genitori; le strutture hanno caratteristiche tali da consentire agli ospiti una vita quotidiana ispirata a modelli familiari, tenuto conto del prevalente interesse del minore; ospitano non oltre sei nuclei di genitori con relativa prole; i profili degli operatori professionali impiegati e gli spazi interni sono tali da facilitare il conseguimento delle finalità di legge; le stanze per il pernottamento e i servizi igienici dei genitori e dei bambini dovranno tenere conto delle esigenze di riservatezza e differenziazione venutesi a determinare per l’estensione del dettato della legge 62/ 2011 anche a soggetti di sesso maschile; sono in comune i servizi indispensabili per il funzionamento della struttura ( cucina etc...); sono previsti spazi da destinare al gioco per i bambini, possibilmente anche all’aperto; sono previsti spazi, di dimensioni sufficientemente ampie, per consentire gli incontri personali, quali: i colloqui con gli operatori, i rappresentanti del territorio e del privato sociale, nonché gli incontri e i contatti con i figli e i familiari al fine di favorire il ripristino dei legami affettivi; Il servizio sociale dell’amministrazione penitenziaria interviene nei confronti dei sottoposti alla misura della detenzione domiciliare secondo quanto disposto dall’art. 47 quinques, 3°, 4° e 5° comma dell’Ordinamento penitenziario; Il ministro della Giustizia, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, può stipulare con gli enti locali convenzioni volte a individuare le strutture da utilizzare come case famiglia protette.
L’ultimo punto è quello chiave. La politica ha riconosciuto un ruolo primario agli Icam. Mentre per quest’ultimi è sotto la responsabilità del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ( quindi c’è lo stanziamento di fondi), per le case famiglia invece la responsabilità è degli enti locali o privati. Quindi lo Stato non partecipa. La distinzione più importante tra l’Icam e la casa protetta è proprio il fatto che la prima è una forma detentiva a tutti gli effetti, mentre la seconda è una misura alternativa al carcere, destinata maggiormente alle donne che non hanno un luogo dove poter scontare una pena agli arresti domiciliari. Ed è proprio questa caratteristica che “giustifica” la mancanza di fondi statali.
Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha dichiarato che vuole proseguire per questa strada e potenziare gli Icam, prevedendone una struttura per ogni regione. Attualmente, come già detto, di casa famiglia ce ne sono solamente due: una a Milano e l’altra a Roma. Entrambe realizzate con l’accordo degli Enti territoriali ( Comune, Provveditorato regionale dell’Amministraziore ne Penitenziaria, Tribunale di Sorveglianza) e gestite da enti del Terzo Settore. Ognuna di esse può ospitare 6 donne e 7 bambini. La casa famiglia protetta di Roma “La casa di Leda” è stata aperta nell’ottobre 2016, a seguito del Protocollo di intesa tra il comune di Roma, la Fondazione Poste Insieme Onlus, la Cooperativa Cecilia Onlus ( capofila), l’Associazione “A Roma, Insieme – Leda Colombini”, la Cooperativa Pid e l’Associazione di volontariato Ain Karim. È realizzata con il sostegno della Fondazione Poste Insieme Onlus e del Dipartimento Politiche sociali, sussidiarietà e salute del Comune di Roma. A Milano un analogo Protocollo di intesa – grazie alla volontà dell’avvocato e consigliere di Milano del Partito Democratico Alessandro Giungi - è stato siglato nel 2016 da Prap, comune di Milano, magistratura di Sorveglianza, magistratura Ordinaria e Associazione Ciao, a riconoscimento della casa famiglia protetta esistente. Anche questo progetto è sostenuto da Poste Insieme Onlus. A Firenze qualcosa si sta muovendo.
Don Vincenzo Russo, cappellano del carcere di Sollicciano, e il membro del Partito Radicale e presidente Progetto Firenze, Massimo Lensi, propongono una soluzione per Firenze: «Le madri detenute nel carcere fiorentino di Sollicciano sono in esecuzione di pena per piccoli reati, o in custodia cautelare. Per porre fine alla situazione di stallo che dal 2010 blocca la realizzazione dell’Icam in via Pietro Fanfani a Firenze, a questo punto, quindi, si potrebbe ipotizzare per queste donne e i loro bimbi la soluzione della Casa Famiglia Protetta».
Ma come mai c’è questa necessità di non dividere i figli dalle madri che sono in carcere? E negli altri Paesi come funziona? Ne parleremo alla quarta parte del reportage.