Si tratta di un grave episodio, e potrebbe essere non isolato, che evidenzia ulteriori criticità e violazioni dei diritti umani nelle carceri italiane. Coinvolge i detenuti, ma anche gli avvocati difensori che hanno subito minacce di arresto e tentativo di aggressione da parte di operatori penitenziari. È un caso che riguarda il carcere “Pagliarelli”.

I legali denunciano una serie di omissioni che hanno privato tre detenuti stranieri azeri del loro diritto a ricevere i contributi economici dei familiari per soddisfare le loro esigenze di vita quotidiana, come l'acquisto di cibo e di prodotti per l'igiene personale. Inoltre, il mancato versamento dei bonifici impedisce ai detenuti di comunicare a mezzo telefono con i familiari e i propri difensori.

Emerge che i tre detenuti reclusi al carcere di Palermo, da due mesi sono senza i soldi che i familiari hanno inviato loro tramite bonifico bancario. Da osservare che c’è stato già un precedente nei confronti dei detenuti stranieri stessi avvenuto a settembre, risolto grazie all’intervento del garante regionale delle persone private della libertà Santi Consolo. Gli avvocati difensori Stefano Giordano e Giovan Battista Lauricella hanno formalmente presentato una diffida alle figure chiave dell'istituzione, tra cui la direttrice del carcere e il provveditorato della Sicilia del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. L'accusa? L’ennesimo mancato accredito di somme bonificate ai tre detenuti stranieri.

Gli avvocati, nominati difensori di fiducia dei detenuti, rivelano una cronologia di eventi a dir poco incresciosi. Il 18 dicembre 2023, su incarico dei familiari dei detenuti, l'avvocato Stefano Giordano ha effettuato tre bonifici bancari per un totale di 450 euro, allo scopo di garantire loro l'accesso al denaro. Tuttavia, le somme non sono mai giunte sui conti correnti personali dei detenuti, come affermano i difensori dopo un'interlocuzione telefonica con i reclusi stessi.

Ricordiamo che i detenuti, senza denaro, non hanno altre alternative che sperare nell’aiuto dei compagni di cella. Quello che passa il carcere, e questo è noto, non basta: dal cibo fino ai prodotti di igiene personale. Senza soldi, non puoi comprare nulla e si rischia una ulteriore degradazione personale. Non avere in carcere i soldi per comprare neanche degli stuzzicadenti o sigarette, aumenta la vulnerabilità e diventare un peso anche per chi sta intorno.

Immaginiamo durante il periodo natalizio in carcere. I tre detenuti stranieri, però, un aiuto dai famigliari lo hanno avuto. I soldi potevano averli. Ma nulla da fare. Come scrivono i legali nella diffida, il mancato versamento dei bonifici sui conti personali dei ristretti costituisce una grave e ingiustificata omissione pregiudizievole dei diritti fondamentali. Di fatto, ai sensi dell’articolo 3 Cedu, risulta essere una condizione degradante. Dopo che gli avvocati hanno appreso del mancato accredito, il 22 dicembre scorso si sono recati presso l'ufficio ragioneria del carcere di Palermo per sollecitare l'accredito delle somme, sottolineando l'urgenza per i detenuti di usufruire dei fondi loro spettanti.

Nella diffida, si parla di non poche difficoltà avvenute all’interno dell’ufficio, tanto che si è reso necessario l’intervento della vice direttrice Teresa Monachino. Il Dubbio ha contatto l’avvocato Giordano per capire cosa sia accaduto: dal suo racconto è emerso qualcosa di a dir poco scioccante. «Dopo aver appreso del mancato accredito delle somme bonificate sui conti personali di ciascun detenuto, unitamente all’avvocato Lauricella - racconta il legale -, mi sono recato presso l’ufficio contabilità, al fine di comprendere le ragioni per le quali le predette somme non erano ancora state rese disponibili ai detenuti beneficiari». L’avvocato sottolinea a Il Dubbio che dopo aver cercato di spiegare, al funzionario facente funzioni, le problematiche connesse al mancato accredito delle somme, gli viene riferito che l’ufficio aveva posto in essere tutti gli adempimenti loro spettanti. «Dopodiché la stessa funzionaria, urlando, mi ha invitato ad andare via», rivela l’avvocato, anticipando quindi un clima che progressivamente diventava sempre più incandescente.

«Ben presto - prosegue Giordano - la situazione è sfuggita di mano posto che le urla della dottoressa, tanto inspiegabili quanto di cattivo gusto hanno attirato l’attenzione del personale presente. Dopodiché è intervenuto un terzo soggetto - appartenente alla polizia penitenziaria, il quale, palesandosi quale marito del funzionario dell’ufficio contabilità - ha letteralmente tentato, a più riprese, di aggredirmi». Una situazione imbarazzante e surreale. «Neppure l’intervento della vice direttrice - sottolinea con amarezza l’avvocato - è riuscito a calmare le ire dei miei aggressori tanto che siamo stati costretti, con il collega Lauricella, a trovare rifugio all’interno dell’ufficio della vice direttrice».

La situazione si è fatta sempre più drammatica. «Come se non bastasse - prosegue con sconforto l’avvocato Giordano - il mio aggressore ha fatto ingresso nel predetto ufficio minacciando più volte il mio arresto. Con notevoli difficoltà la vice direttrice (con l’ausilio di un agente di polizia penitenziaria) è riuscita ad allontanare il “marito aggressivo” scusandosi del comportamento assunto dalla polizia penitenziaria e dal funzionario».

Il legale non riesce a nascondere la sua indignazione e umiliazione ricevuta. «Eventi come questi te li aspetti negli ex regimi sudamericani!», afferma l’avvocato. Nel contempo ci tiene a sottolineare che ha sempre avuto ottimi rapporti con gli agenti penitenziari e che ha potuto constatare che sono sempre stati dei professionisti. «Ma è inaccettabile che l’arma possa essere infangata da queste pecore nere come il soggetto che mi ha gravemente minacciato. Per tutelare i miei assistiti detenuti al Pagliarelli ho evitato di fare subito una denuncia presso l’autorità giudiziaria. Ora provvederò!», annuncia l’avvocato Giordano.

Nonostante ciò, ad oggi le somme non sono state ancora accreditate sui conti dei detenuti. Questa vicenda solleva gravi interrogativi, mettendo in luce una serie di inefficienze che danneggiano i detenuti e pongono in discussione il rispetto dei loro diritti fondamentali. Ma anche quelli degli avvocati difensori, tanto da subire minacce da chi dovrebbe tenere – come recita il regolamento stesso – “un comportamento improntato a professionalità, imparzialità e cortesia e mantenere una condotta irreprensibile, operando con senso di responsabilità ed astenendosi altresì da comportamenti o atteggiamenti che possono recare pregiudizio al corretto adempimento dei compiti istituzionali”.