«A Bucha, durante l’occupazione dell’esercito russo è stato ucciso un abitante su cinque», tuona Anatoliy Fedoruk sindaco della città ucraina diventata il simbolo degli orrori di guerra. Sull’onda dell’emozione in molti hanno parlato di «genocidio», di stragi pianificate, di pulizia etnica. Altri si sino limitati a evocare “semplici” crimini di guerra, altri ancora di crimini contro l’umanità. Di sicuro a Bucha è accaduto l’inferno; le immagini di civili giustiziati con un colpo alla tempia, le fosse comuni e le stanze delle torture hanno scosso il mondo. Ma anche messo in moto la macchina della giustizia, di solito lentissima e pachidermica nelle sue istruttorie su i crimini di guerra. Stavolta la Corte penale internazionale dell’Aja (Cpi) si è mossa con grande solerzia, un po’ per la rapidità con cui le testimonianze dei massacri sono venute a galla, dai video alle interviste dei superstiti, un po’ per lo stile risoluto del suo nuovo procuratore capo, l’avvocato britannico Karim Khan che lo scorso 13 aprile è volato personalmente a Bucha: è la prima volta che il capo della Cpi visita una scena del crimine a conflitto ancora in corso. Il viaggio di Khan non è stata infatti una parata per i fotografi o un gesto di solidarietà umana nei confronti del governo di Kiev da quasi due mesi sotto invasione militare: «Siamo qui perché abbiamo motivi ragionevoli per credere che vengano commessi crimini all'interno della giurisdizione del tribunale. Dobbiamo dissolvere la nebbia della guerra per arrivare alla verità». Assieme a Khan, a Bucha era presente una folta squadra di investigatori che sono all’opera da diversi giorni; periti balistici, medici legali, specialisti della polizia scientifica e persino ufficiali della gendarmeria francese che collaborano con le procure ucraine. Verranno effettuate centinaia di autopsie per capire le cause dei decessi, per controllare se i proiettili conficcati nei cadaveri appartengano effettivamente alle forze armate russe o delle loro milizie locali. E naturalmente saranno raccolte migliaia di testimonianze dirette tra la popolazione ucraina che ha assistito ai massacri. Alla fine delle indagini verrà anche disegnata una mappa delle esazioni, villaggio per villaggio, allo scopo di verificarne l’ampiezza e la sistematicità. Questo è un elemento centrale per stabilire se c’è stata una pianificazione dei massacri e una specifica volontà da parte delle autorità russe di “de-ucranizzare” il territorio. È un lavoro importantissimo anche perché la propaganda del Cremlino ha inizialmente negato gli eccidi, parlando di «messa in scena ucraina», definendo «figuranti» i corpi riversi sul ciglio delle strade e inondando il web con queste fake news. Poi, di fronte all’evidenza delle prove ha cambiato versione, accusando i militari ucraini di aver assassinato i loro stessi compatrioti per poi poter dare la colpa a Mosca. Insomma, un grande classico. Per la prima volta dunque ci sarà la possibilità di mettere a fuoco delle responsabilità di crimini di guerra con una relativa rapidità come suggeriscono i passaggi già compiuti della Corte penale dell’Aja e dal suo volitivo procuratore capo. «Scommetto che in questo caso le indagini penali e l’individuazione dei fatti saranno molto più veloci rispetto a quanto accaduto in altri teatri di guerra e di crimini contro l’umanità come nell’ex Yugoslavia oppure in Sudan», spiega l’avvocato Emmanuel Daoud, specialista di diritto penale internazionale intervistato da France info che fu parte civile nel processo contro la banca francese Parisbas poi condannata per complicità nei crimini commessi in Sudan dal regime Omar el-Bashir.