L’assistenza sanitaria in carcere è inadeguata, pochi medici e lavoro precario. Troppi sono i detenuti che attendono di essere ricoverati o per visite specialistiche o per interventi chirurgici. L’attesa a volte è più lunga della pena. A questo si aggiunge la differenza di qualità tra regione e regione, creando una situazione a macchia di leopardo. Accade così che le direzioni delle carceri stesse sono costrette a chiedere aiuto. C’è il caso del carcere di Benevento dove sussiste una grave carenza di medici generici e specialisti. A denunciarlo è Samuele Ciambriello, il garante campano dei diritti delle persone sottoposte a misura restrittiva della libertà personale. A notiziarlo è stata la Direzione della Casa circondariale di Benevento, e il garante ha subito scritto una nota al dirigente dell’Asl di Benevento, il dottor Gennaro Volpe, al dirigente dell’Azienda ospedaliera “San Pio”, la dottoressa Maria Morgante e al Direttore sanitario del carcere, Gennaro Leone.

IL GARANTE CAMPANO: IL CARCERE DI BENEVENTO È SENZA MEDICI

Il garante Samuele Ciambriello, rivolgendosi con una lettera alla Asl, denuncia di essere venuto a conoscenza da parte della Direzione della Casa circondariale di Benevento di fatti che lo allarmano particolarmente e che meritano di essere affrontati con una certa tempestività, prima che possano degenerare in altre più preoccupanti manifestazioni. Sottolinea di essere stato informato dalla Direzione che, da giorni, mancano anche medici generici e che ciò azzera di fatto l'assistenza sanitaria, già di per sé precaria. Scrive il Garante: «Tutto questo – è evidente - crea un clima all'interno del carcere che desta preoccupazione, oltre al fatto che tale situazione mette seriamente a rischio i detenuti, anche in ragione del fatto che, all'interno della struttura penitenziaria, vi è l'articolazione psichiatrica».

Il Garante campano, sempre nella lettera rivolta alla asl, osserva che sono tutti consapevoli della carenza di organico che affligge la sanità regionale campana e che questo si riflette inevitabilmente nel mondo penitenziario, ma anche dell'importanza di una collaborazione proficua, unica strada possibile per superare anche gli ostacoli più insormontabili. «Il diritto alla salute, quale attributo fondamentale della persona, non può essere mai compresso per ragioni organizzative e di gestione interna: questo dovrebbe essere il baluardo che muove le nostre azioni», sottolinea Ciambriello. Si appella, in primo luogo, alla Dirigente dell'Asl competente, la dott. ssa Maria Morgante, professionista che ha avuto modo di conoscere sul campo e che si è adoperata per risolvere diverse problematiche legate ai detenuti affetti da disturbi psichici. «Mi permetto di suggerire l'istituzione di un tavolo di confronto per affrontare le questioni qui dibattute, nonché il più annoso problema della mancanza di un reparto ospedaliero con posti riservati ai detenuti. La provincia di Benevento è l'unica in Campania a registrare tale assenza», conclude il garante nella lettera.

Ricordiamo che dal primo aprile 2008 la salute delle persone detenute è divenuta formalmente una competenza del Servizio sanitario nazionale e si è venuta così a sanare, sulla carta, una delle tante anomalie normative che riguardano la gestione della vita penitenziaria. Ma se ci si cala nella realtà dei fatti, ci si accorge di come questa anomalia sia stata adeguatamente superata esclusivamente sul piano formale. Nella materialità della detenzione permangono sostanziali criticità che ostacolano una piena affermazione dell’equivalenza delle cure, principio cardine della riforma stessa. Il trasferimento del personale, strumentazioni e responsabilità alle Asl è stato generalmente vissuto come un ulteriore “peso” scaricato sulle spalle già fragile della sanità regionale ( e dei suoi bilanci).

I LIVELLI DI ASSISTENZA VARIANO DA REGIONE A REGIONE

Accade così che l’Italia penitenziaria appare infatti quanto mai “ghepardizzata” con livelli e qualità dell’assistenza sanitaria che variano molto da regione a regione e rispecchiano fedelmente le condizioni della sanità esterna al carcere. A questo si aggiunge il lavoro precario e i turnover da parte dei medici, con un rapporto di un medico ogni 315 detenuti. La denuncia arriva direttamente dal coordinatore nazionale della Federazione italiana medici di medicina generale Fimmg- Medicina Penitenziaria Franco Alberti, che avverte: «Mancano medici nelle carceri, nonostante passate circolari del ministero della Giustizia stabilissero la presenza di 1 medico ogni 200 detenuti, e la situazione è grave». Alberti spiega all’Ansa: «I detenuti sono oggi circa 65.000, ben più dei 40- 45.000 che potrebbero essere ospitati nelle strutture carcerarie. C'è una situazione nota di sovraffollamento alla quale è davvero difficile fare fronte. I medici che lavorano nelle carceri sono infatti 1.000, ma va detto che circa il 70% di questi è rappresentato da medici precari e sottopagati».

FIMMG- MEDICINA PENITENZIARIA: COSTRETTI A TURNI CONTINUATIVI

Ovviamente, il numero dei medici varia da carcere a carcere a seconda della capienza della struttura, ma in media, sottolinea sempre il coordinatore di Fimmg- Medicina Penitenziaria, «oggi possiamo dire che ci sia un medico per ogni 315 detenuti. La nostra richiesta è che ve ne sia uno almeno ogni 150. I medici di base, che garantiscono l'assistenza ambulatoriale per 3- 4 ore al giorno, secondo il fabbisogno da noi calcolato dovrebbero essere 1.044; i medici di guardia, che fanno assistenza h24 a turno, dovrebbero invece essere 1.588, e va detto che attualmente in varie carceri i medici di guardia mancano del tutto». A conti fatti dunque, rispetto al totale di 1.000 medici penitenziari oggi attivi, per garantire un'adeguata assistenza mancano all'appello 1.632 camici bianchi. In queste condizioni numeriche «è difficile lavorare anche considerando - sottolinea Alberti - che nei casi più gravi il 118 impiega non meno di 30 minuti per poter entrare nelle strutture carcerarie». Insomma, denuncia Alberti, «manca personale medico e così i medici sono costretti in alcuni casi a turni continuativi, con i rischi connessi alla situazione di stress». C'è poi anche un'altra criticità. Con il DPCM 1 aprile 2008, l'assistenza sanitaria è transitata dal ministero della Giustizia a quello della Salute e quindi al Servizio sanitario nazionale. A distanza di 11 anni, rileva l'esponente Fimmg, «non è però ancora stato fatto un contratto collettivo per i medici penitenziari, contemplato nell'Accordo collettivo nazionale Acn della Medicina generale, creando situazioni paradossali e contratti legati alle interpretazioni delle varie Regioni».