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Apre in Gran Bretagna la prima sezione all’interno di un carcere dedicata esclusivamente alle detenute transgender. Non un carcere dedicato a loro, come viene riportato in numerosi quotidiani, ma, appunto, una sezione specifica. Questa iniziativa nasce dall’esigenza di proteggere le detenute transessuali da altri detenuti, perché in Inghilterra si sono verificati casi di numerosi incidenti come la vicenda di Tara Hudson, che è stata messa in una prigione maschile, dove ha detto di essere stata trattata «come una bestia allo zoo». Secondo il Times, che rivela l’iniziativa, sarebbe il primo carcere di questo tipo in tutta Europa. Ma non è vero, visto che si tratta della creazione di sezioni, per altro, già esistenti in Italia. Il quotidiano londinese poi aggiunge che il nostro Paese ha recentemente considerato l’ipotesi di aprirne uno, ma il progetto non è andato ancora avanti. In realtà, un conto è aprire un carcere ad hoc, l’altro di aprire sezioni dedicate. La questione è un po’ più complicata e riguarda la criticità delle sezioni dedicate alle detenute trans che non di rado rischiano di creare un isolamento, quindi una doppia pena. In Italia è verissimo che era in progetto l’apertura di aprire uno per questa tipologia di detenuti. Nel 2010, ad Empoli, era stato finanziato il progetto per l'apertura di un carcere dedicato esclusivamente alle detenute transessuali: l'allora ministro della giustizia Angelino Alfano decise di bloccare l'iniziativa. Eppure era già tutto attrezzato per trasformare la Casa circondariale di Empoli, già carcere esclusivamente femminile, in penitenziario riservato ai soggetti transessuali, nel tentativo di non ghettizzarli e poter rendere concreto, oltre che agevolmente fruibile, il trattamento penitenziario stesso. Ma nulla di fatto.
Come detto, in realtà, esistono sezioni dedicate, ma hanno creato delle problematiche. Nel 2017 è stata chiusa la sezione ' Vega' del carcere di Rimini. La svolta c'è stata dopo il tentato suicidio, avvenuto giovedì scorso, da parte di una delle due detenute transessuali. Era finita overdose di farmaci e fu trasportata d'urgenza all'ospedale ' Infermi' di Rimini. Si era salvata per un pelo, grazie soprattutto al tempestivo intervento della Polizia penitenziaria. Il gesto era scaturito per protestare contro il disagio che viveva. Una volta guarita è stata trasferita direttamente nel carcere di Reggio Emilia dove è stata aperta una sezione per transessuali. La situazione della sezione ' Vega' era già tristemente nota. Pensata per proteggere detenute transessuali, era di fatto una sezione di isolamento lasciata al degrado strutturale, con celle buie e incompatibili con una pena umana come prescrive la nostra Costituzione. Una vera propria pena nella pena. Il problema delle transessuali in carcere, in realtà, non è mai stato pienamente risolto, anche se l’attuale riforma dell’ordinamento penitenziario interviene sul punto, prevedendo sostanziali modifiche e imponendo che le attività trattamentali siano svolte anche insieme agli altri detenuti. Lo stesso Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria non ha però ancora individuato delle soluzioni univoche alle varie problematiche emerse negli anni, continuando a ondeggiare tra la scelta di diversi sistemi di allocazione che vanno dai reparti dedicati, a volte presso istituti femminili, altre maschili, fino alla collocazione presso le sezioni precauzionali. Le soluzioni finora individuate hanno tutte dato luogo a distinte e notevoli problematiche, verificandosi quasi sempre una forte difficoltà a far accedere le persone transessuali ai percorsi trattamentali, alle attività di istituto e senza la predisposizione di un adeguato servizio sanitario in relazione alla specificità dei loro bisogni di salute. Generalmente le trans sono recluse negli istituti maschili e in reparti speciali separati per detenuti ' a rischio' insieme ai collaboratori di giustizia e ai pedofili. Nell’ultima relazione del garante nazionale delle persone private della libertà a firma del presidente Mauro Palma e delle componenti Emilia Rossi e Daniela de Robert, si pone l’accento proprio sul punto. «Una osservazione a parte - si legge nel rapporto - riguarda le persone transessuali, attualmente censite in 10 sezioni specifiche con 58 presenze, tutte collocate in Istituti maschili. Il Garante nazionale ha da tempo espresso l’opinione che sia più congruo ospitare tali sezioni specifiche in Istituti femminili, dando maggior rilevanza al genere, in quanto vissuto soggettivo, piuttosto che alla contingente situazione anatomica».