Se uno ascolta la seduta di stasera della Anm, del suo “Parlamento” (il ricorrente vezzeggiativo è un po’ sgradevole, rischia di confondere l’apparente riferimento ai numeri ridotti con l’idea della parodia), comprende molte cose. Comprende perché, forse, si è arrivati alla crisi di oggi, perché una categoria onorata, culturalmente attrezzata e al 99 per cento non solo onestissima ma ispirata da un forte senso del dovere, perché, ecco la magistratura italiana sia precipitata nella crisi. Bisogna sentire la registrazione disponibile sul sito della straordinaria Radio Radicale, che ha trasmesso in diretta le immagini e soprattutto le parole dell’assemblea in videoconferenza di stasera. La riunione del comitato direttivo centrale Anm, la prima dopo la crisi aperta sabato scorso dalla decisione di Area, gruppo progressista e decisivo, di ritirarsi dal “governo” (la giunta esecutiva) guidato dal proprio esponente Luca Poniz.

La giunta Anm entrata “in crisi” è prorogata fino a ottobre

L’ascolto consentirà di apprendere, certo, che ne è uscita la decisione di mantenere l’organismo esecutivo, la giunta appunto, in piedi per gli affari correnti, come si direbbe, in un regime di prorogatio che certamente la svuoterà dei suoi contenuti politici. Ma non è questo il punto. Poniz «continuerà a partecipare a pieno titolo alle riunioni con il ministro della Giustizia sulla riforma del Csm, per esempio», ha assicurato con intenzione di diffondere fiducia uno dei predecessori del presidente uscente, Francesco Minisci, di Unicost. Ecco, si andrà avanti. «In una condizione che renderà però l’Anm più debole», insinua, incalza e un po’ gioisce Giancarlo Dominijanni, autorevole rappresentante di Magistratura indipendente, l’unico gruppo che era fuori della maggioranza prima e che ne resterà a fuori anche in questa appendice fino alle nuove elezioni di ottobre. Ma a parte l’esito, scontato, un po’ dimesso appunto, ciò che conta sono le espressioni: “prorogatio” o “giunta istituzionale”, come la chiama Carlo Coco, che ha presieduto l’assemblea. E poi, “la nostra attività politica”, come rivendica con appassionato orgoglio un altro rappresentante della giunta uscente, Marcello Basilico.

L’illusione di surrogare la politica vera

Tutti termini che pretendono un paragone con la politica vera. Che anzi lo attestano. Ed ecco qual è davvero il punto. In un’epoca di terribile crisi della rappresentanza parlamentare, dei partiti e della politica tout court (prima che di quella “de minimis”, come la definì in un’intervista a questo giornale, con simpatica autoironia, proprio Luca Poniz), i magistrati e la loro Associazione hanno finito per guadagnare uno spazio di visibilità enorme. Smisurato. Forse sproporzionato alle proprie forze. E hanno finito per mostrarsi non all’altezza di un’investitura psicologica, di un’ aspettativa di salvezza che l’equivoco ha diffuso nel Paese, almeno nelle sue rarefatte élites. Come se in assenza di partiti che facessero onore alla democrazia, che sapessero farne avvertire il respiro solenne, l’élite politico-intellettuale italiana non solo si fosse affidata al singolo pm come a un angelo purificatore, ma avesse ceduto all’illusione che la politica condotta dalla Anm potesse divenire il surrogato di quella vera. Sotto il peso di un’aspettativa così gravosa, è come se il sistema di potere della magistratura avesse ceduto di schianto. Si fosse cioè avvitato nell’imitazione non solo della terminologia politica, ma anche di alcuni abusi della partitocrazia. Le nomine, lo scambio, la disinvoltura, la minuziosa e un po’ autoreferenziale ricerca degli equilibri nell’assegnare determinati incarichi direttivi ai magistrati di una certa corrente.

La rinuncia ipocrita dei partiti a intromettersi

Nella magistratura si è insomma concentrato un potere eccessivo non tanto rispetto alla giurisdizione, dove anzi quel potere è irrinunciabile per la democrazia, ma soprattutto nelle scelte sugli incarichi, appunto, lì dove la politica, ancora più debole della magistratura, ha trovato comodo rinunciare ipocritamente a mettere il naso, nella speranza che pm e giudici fossero, a loro volta, indulgenti con i partiti. Una specie di labirinto degli equivoci, in cui ora la Anm si trova un po’ intrappolata. Ma stasera tutti hanno risposto con orgoglio. Non solo un giudice del lavoro appassionato come Basilico, impietoso nello scagliarsi contro «le pubblicazioni ignobili, propalate da cosiddetti giornali», quelli che nelle ultime ore hanno diffuso le intercettazioni del sequel del caso Palamara.

La risposta alle minacce di «sciogliere» la Anm

Non solo è stato orgoglioso Minisci secondo il quale «la giunta andrà avanti con senso di responsabilità». Non solo il presidente dell’assemblea Coco che ha riconosciuto «il comune richiamo alla difesa dell’Associazione e alla possibilità che la sua giunta, nonostante la caduta politica di sabato, resti operativa». A difendere per primi il sistema con cui le toghe si autorappresentano sono proprio i suoi massimi vertici, il presidente Luca Poniz e il segretario Giuliano Caputo. Che quasi in coro dicono: «Nessuno scioglimento». Si riferiscono a quegli esponenti della politica vera secondo i quali l’Associazione magistrati dovrebbe addirittura scomparire. Ecco, questo è troppo, per tutti: per Area, Unicost, per Autonomia e Indipendenza, cioè il gruppo di Piercamillo Davigo, e anche per Mi. Anche perché in questo caso è la politica tout court, in una pretesa così apocalittica, a non essere all’altezza delle proprie sentenze.