Più processi da remoto, più ricorso al cartolare e un protocollo nazionale per proteggersi dal rischio epidemico. Sono le proposte avanzate dall’Anm al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che ha dato il suo ok all’istituzione di un tavolo permanente con le categorie interessate. La richiesta è quella di un intervento normativo finalizzato ad «ampliare al massimo gli strumenti per la trattazione dei processi in sicurezza, e tra essi i casi di udienza da remoto». Un’idea che non trova d’accordo il Consiglio nazionale forense, contrario a qualsiasi compressione dello spazio decisionale delle difese: «Tocca agli avvocati scegliere quando è il caso di chiedere l’udienza in presenza».

Le richieste di Anm

Per il sindacato delle toghe, la possibilità di udienze da remoto prevista dal dl Ristori è «eccessivamente ristretta». Al punto da chiederne l’estensione anche per le discussioni nei giudizi abbreviati e dibattimentali, lasciando al difensore la possibilità di avanzare richiesta «motivata» di trattazione in presenza, così come per l’appello. Ed è proprio questo il punto più delicato, quello che rischia di svilire, secondo il Cnf, il ruolo del difensore. Per l’Anm, l’udienza online andrebbe estesa anche per le preliminari e dibattimentali in cui non si debba svolgere attività istruttoria, mentre per le camerali l’auspicio è di consentire «la trattazione cartolare in mancanza di richiesta motivata delle parti di procedere da remoto ovvero in presenza». La sospensione dei giudizi penali per le udienze istruttorie andrebbe estesa anche ai casi in cui il testimone debba spostarsi da e verso zone rosse, per limitare il più possibile gli spostamenti tra regioni, mentre ai dirigenti degli uffici giudiziari delle regioni più a rischio dovrebbe essere concessa la possibilità di stabilire criteri di priorità nella celebrazione degli affari penali in presenza, con la possibilità di differire nel tempo la trattazione dei processi considerati non prioritari. Per il settore civile, le toghe chiedono una precisazione normativa «sull’applicabilità delle disposizioni previste per il processo civile al rito del lavoro, caratterizzato da concentrazione, immediatezza e oralità, e ad altri riti speciali», mentre per i giudizi di Cassazione «una generalizzata trattazione scritta». E una revisione complessiva delle materie delegabili ai giudici onorari, «per verificare se sussistano le condizioni per estenderle a materie finora precluse».

Il Cnf dice no

L’avvocatura è chiara: la salute viene prima di tutto. Ma per tutelarla bastano le indicazioni del dl Ristori, «equilibrate» , secondo il Cnf, e comprensive dei criteri necessari per stabilire cosa svolgere da remoto, cosa in presenza e dove sia facoltà della difesa scegliere. Una soluzione che, conferma il Consiglio nazionale forense, deve essere in sinergia con una corretta organizzazione dei tribunali, sia in termini di calendarizzazione oraria delle udienze in presenza, sia in termini di distanziamento generale. Ma ciò che lascia perplessi, nel documento dell’Anm, è il riferimento - «per la prima volta» - a subordinare l’udienza in presenza ad una «richiesta motivata dell’avvocato». Il no è secco: «si tratta di una valutazione che tocca al difensore fare, sulla base delle esigenze e dalle indicazioni del cliente. Se dipendesse dalla valutazione di un giudice allora va da sé che tutte le udienze sarebbero da remoto, perché gli avvocati non avrebbero alcun concreto potere decisionale sulla gestione del processo». Non è chiaro, infatti, quale sarebbe il criterio di valutazione, così come nel caso della scelta delle udienze da svolgere in via prioritaria. Per quanto riguarda il civile, il Cnf condivide «l’esigenza di chiarezza» sui termini della limitazione temporale al 31 gennaio del dl Ristori per la trattazione scritta. Non ci sarebbero gli estremi, invece, per applicare le modalità cartolari al giudizio di Cassazione, anche sotto il profilo della mancata copertura normativa. In merito al monitoraggio dell’attività dei giudici onorari, invece, l’approccio sarebbe sbagliato: «È una valutazione importante, ma non in un contesto emergenziale, perché si corre il rischio che la stessa sia viziata e che l’obiettivo non sia realizzabile».

Le obiezioni dell'Unione Camere penali

Per Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione delle Camere penali, il documento di Anm mira ad un’estensione del processo da remoto non necessaria, allo stato attuale. Mentre ciò che effettivamente va fatto è mettere in sicurezza i tribunali. «È un’idea burocratica del processo che si è impossessata dell’attuale dirigenza di Anm in modo desolante - sottolinea Caiazza -. La discussione, così come l’attività istruttoria, è fisica per definizione, è la rappresentazione fisica delle ragioni del proprio assistito. E soprattutto è il luogo dove il difensore ha la percezione chiara dell’attenzione del giudice. Non so l’Anm a questo punto a nome di chi parli: abbiamo firmato un documento con dieci tra le più importanti procure d’Italia, per le quali la fisicità della trattazione del processo non doveva essere messa in discussione. Il provvedimento governativo è stato fortemente ispirato da quel documento. Anm dovrebbe porsi qualche domanda». Anche per Caiazza è inaccettabile «l’idea che ci debba essere una motivazione a supporto della richiesta della trattazione orale da parte del difensore, che equivale a dire che è il giudice che decide se la richiesta è giustificata - afferma -. Ma l’unico criterio per alterare le modalità fisiologiche di svolgimento di un processo è l’interesse dell’imputato».